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IL PICCOLO PRINCIPE

Regia: Mark Osborne

Sceneggiatura: Irene Brignull

Anno: 2015

Durata: 108′

Nazione: Francia

Montaggio: Carole Kravetz Aykanian, Matt Landon

Scenografia: Celine Desrumaux, Lou Romano

Colonna sonora: Richard Harvey, Hans Zimmer

TRAMA

Un aviatore, una bambina, una volpe e un fiore. Adattamento dell’opera letteraria francese più letta al mondo. La fiaba moderna per eccellenza.

RECENSIONE

Anche i Piccoli Principi crescono… ed io non ci avevo mai pensato. Eppure, conservando i suoi riccioli biondi, ha corso il rischio dei baobab, ha smesso di annaffiare la sua rosa, di annusarla e ammirarla, non guarda più i tramonti, nemmeno quando è triste, non è più alla ricerca di un amico. Ora il Piccolo (Grande?) Principe non sa più vedere la pecore attraverso le casse ed un serpente boa che mangia un elefante assomigliava così tanto a un cappello (e se gli avessero offerto la pillola che, placando la sete, ti fa risparmiare 53 minuti, l’avrebbe presa?). Crescendo è diventato un lavoratore, un po’ imbranato, che vive su di un pianeta che è molto più grande di lui, senza luce né tramonti. Un vigile vanitoso sorveglia il pianeta buio, un Re, solo se le condizioni sono favorevoli, ti conduce sul tetto dove il Piccolo (Grande?) Principe lavora per un uomo d’affari, che prima si accontentava di possedere le stelle ma ora ne ha creato un business.

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Sapevo che tutti i grandi sono stati bambini una volta e che pochi di essi se ne ricordano, ma ho sempre creduto che il Piccolo Principe fosse un’eccezione. Invece no! Ed è così che feci la conoscenza del Signor Principe, che non voleva una pecora e che non sentiva la mancanza della sua rosa. Forse meritavano più rispetto i ricordi di tutti quelli che, crescendo, hanno continuato ad avere un Piccolo Principe a fianco, ogni istante, che ti chiedeva quale fosse il tono di voce del tuo nuovo amico e quali fossero i suoi giochi preferiti, che, come lui, ti ha insegnato a simpatizzare per quella strana personcina che accendeva e spegneva il lampione del suo piccolissimo pianeta, senza poter dormire, perché non pensava solo a se stesso. Il Piccolo (grande?) Principe è quindi cresciuto, diventando un adulto, un po’ stonato, in un mondo scuro e così diverso dal B612. I ricordi dei lettori sono però tranquillizzati dall’avvento di una Piccola Principessa che, con il suo aeroplano ed una volpe silenziosa, tenta un difficile obbiettivo: far ricordare il Signor Principe quello che è stato.

Crescere non è un problema, il problema è dimenticare.

Voto: 8

Giulia Di Feliciantonio

PONYO SULLA SCOGLIERA

Titolo originale: Gake no ue no Ponyo

Regia: Hayao Miyazaki

Sceneggiatura: Hayao Miyazaki

Anno: 2008

Durata: 100’

Nazione: Giappone

Fotografia: Atsushi Okui

Montaggio: Hayao Miyazaki, Takeshi Seyama

Scenografia: Noboru Yoshida

Colonna sonora: Joe Hisaishi

TRAMA
Sosuke è un bambino di cinque anni che vive con la madre in una casa in cima ad una scogliera, non lontano da un grazioso villaggio di mare. Un giorno trova per caso sul bagnasciuga una pesciolina con la testa dalle fattezze umane incastrata in un barattolo di vetro, scampato per miracolo alle reti dei pescatori. Sosuke, dopo averla liberata, le dà un nome, Ponyo, e la porta con sé dopo averla messa in un secchiello pieno d’acqua. Lo stregone marino Fujimoto però, il padre di Ponyo che una volta era umano, riporta la figlia con sé nella sua casa sott’acqua. Laggiù la piccola riesce a bere l’Acqua della Vita e tenta di fuggire dalla casa di suo padre con l’intento di ritrovare Sosuke in superficie. Ma, durante la fuga, Ponyo versa un po’ dell’Acqua della Vita in mare provocando così un violento tsunami fatto di onde gigantesche a forma di pesce, sulle quali la piccola corre spensierata, ma che devastano completamente il grazioso villaggio marino. Ponyo vuole a tutti i costi rimanere accanto a Sosuke, ma Fujimoto non sembra intenzionato a lasciare che sua figlia diventi un’umana a tutti gli effetti. Riuscirà a riportarla con sé in mare? E che ne sarà del villaggio, continuamente investito dalle onde gigantesche lanciate dallo stregone?
RECENSIONE
Gli elementi autobiografici hanno sempre contraddistinto le opere del maestro, ma mai come in questo film si respira una nostalgia per l’infanzia così forte, espressa in maniera evidente dai continui richiami alla figura materna che Miyazaki perse troppo presto (Lisa,  Gran Mamare e la vecchia Yoshie sono tutti aspetti che descrivono sua madre: una donna forte, premurosa, ma che nella malattia divenne un po’ scorbutica a causa dell’immobilità forzata). Bambini e figure femminili come protagonisti: un film di Miyazaki a tutti gli effetti che, però, forse, per la prima volta, vuole essere dichiaratamente un prodotto per l’infanzia: a differenza delle protagoniste Mei e Satsuki de Il mio vicino Totoro (Tonari no Totoro, 1988) che trovavano nello spirito della foresta Totoro un fedele compagno che potesse distrarle dal dolore causato dall’assenza della madre malata (ancora l’elemento autobiografico che ritorna); o a differenza di Kiki (Kiki’s Delivery Service – Majo no Takkyubin, 1989) che si ritrova da sola nella grande città, ma supportata dalla magia e dalla gente che l’accoglie calorosamente; a differenza di questi lavori, dicevo, Miyazaki mette in scena una vicenda in cui i bambini finalmente si trovano in una posizione tale da poter decidere delle proprie sorti autonomamente, divenendo così i principali fautori del proprio destino (una naturale evoluzione della figura di Chihiro de La città incanatataSen to Chihiro no Kamikakushi, 2001- la quale si trova nella condizione di dover sopravvivere nel gigantesco villaggio termale, con tutte le sue regole talvolta incomprensibili, ma con in mente sempre un obiettivo impostole, però, da qualcun altro).
Un esplicito richiamo all’infanzia, una dichiarazione d’intenti che si intuisce anche dalle particolari decisioni prese per quanto riguarda la messa in scena: il sacrificio di qualche frame che rende l’animazione meno fluida rispetto agli ultimi lavori e che richiama lo stile tipico (anche per esigenze economiche) delle produzioni seriali del passato; la volontà di utilizzare sfondi acquerellati e molto meno particolareggiati (che ricordano molto da vicino le illustrazioni dei libri per l’infanzia), ma mai banali; la volontà ferma da parte di Miyazaki di non utilizzare la computer grafica (un altro espediente per non “raffreddare” l’animazione), ma di affidarsi totalmente alle capacità degli animatori guidati ogni giorno dal suo severissimo sguardo.
Un film gradevole, ben realizzato, in cui il mutamento sembra essere la chiave di lettura ottimale: Ponyo è una pesciolina che diventa un essere umano; Sosuke è un bambino che si comporta come un adulto; Fujimoto è un uomo che ha deciso di diventare un pesce; il mondo marino che ha deciso di fondersi con quello terrestre grazie alla volontà di una bambina, capace di correre sulle onde del mare in tempesta.
Voto: 8
Giorgio Mazzola

SI ALZA IL VENTO

Titolo originale: Kaze Tachinu

Regia: Hayao Miyazaki

Sceneggiatura: Hayao Miyazaki

Anno: 2013

Durata: 126′

Nazione: Giappone

Montaggio: Takeshi Seyama

Colonna sonora: Joe Hisaishi

“Vola solo chi osa farlo” (Sepulveda)

Quanto è assillante questa metafora per gli intellettuali di tutti i tempi, quale prepotente brama di riscatto dal disagio della vita terrena li spinge a cercare nel volo la liberazione ultima?

Il folle volo di Ulisse è il gesto di tutti coloro che hanno voluto oltrepassare il confine e andare lì, dove la realtà non basta a placare quel senso di avvilimento che caratterizza l’anima di un sognatore; ci si deve spingere oltre, in un luogo dove sia possibile far volare un aereo con un dito, un luogo allo stesso tempo dentro di noi e fuori di noi, nelle colonne d’Ercole della nostra immaginazione. Miyazaki rende esplicito fin dalla prima scena di cosa parlerà la sua opera e, nella dimensione onirica della storia, fa rivivere personaggi realmente esistiti. Così facendo, nella sua ultima fatica registica, proietta sul protagonista la propria passione per il disegno e pone finalmente in scena il racconto di eterno bambino sognatore che ha impiegato “dieci anni” per realizzare un progetto e che vuole fermarsi lasciando nel cuore delle persone un faticoso messaggio: sperare.

In un Giappone impressionista e popolato come un quadro di Brueghel, cresce Jirou Horikoshi, rimasto negli annali per aver progettato il caccia giapponese Mitsubishi A6M Zero, per lungo tempo considerato il miglior aereo da combattimento, prima utilizzato per l’attacco a sorpresa a Pearl Harbor e in seguito utilizzato dai giovani piloti kamikaze per i loro voli suicidi contro la flotta americana. Ma il messaggio politico non è quello di esaltare una macchina di morte ma quello di esaltare il genio creativo di qualcuno che a causa di una “miopia” carica di connotazioni simboliche, non può volare ma può solo progettare. “Il viaggio di inverno” di Shubert che si ode da quella finestra aperta sulle buie strade tedesche, è quello di Jirou, è quello dell’eroe romantico che cerca il senso della vita abitando un mondo tutto dentro di sé.

La ricerca tecnica e storica di Miyazaki è estenuante, ogni dettaglio è maniacale. La trasposizione del reale però viene mitigata dal dialogo onirico con l’ingegnere Caproni che risulta essere esilarante, soprattutto per il simpatico stereotipo, in cui il Maestro , innamorato dell’Italia inquadra il nostro famoso progettista. Caproni da buon italiano è allegro, attaccato alla famiglia e al” buon vino”.Questa descrizione è supportata dal geniale Hisahishi che contamina di mandolino una meravigliosa colonna sonora.

In questa sottile atmosfera di dormiveglia, dove il terremoto e la guerra hanno il suono di un luttuoso lamento, “le vent se leve il faut tenter de vivre” e aereoplani di carta e pastelli fanno da sfondo al tenero amore di Jirou e Naoko, amore che spezza il ritmo minuzioso della trama e lo profuma di leggerezza e di quella bellezza e perfezione che caratterizza l’opera d’arte giapponese. Ma quando si alza il vento, la facilità che fa volare un cappello galeotto dalla tua testa è la stessa con cui la vita ti porta via le persone che ami, cosi la malattia porta via Naoko che scompare invitando jirou, che cammina tra le macerie del proprio talento diventato arma di distru.zione, a vivere.

Le opere di Miyazaki ti lasciano sempre qualcosa nel cuore, essere rapiti dall’essenziale semplicità dei sentimenti di cui è composta la vita è sempre calorosamente disarmante. Qualcuno dirà che non c’è la solita magia del maestro in Si alza il Vento, ma dopo il viaggio ghibli questa meta finale non ha bisogno di troppe invenzioni per splendere. Quindi grazie Miyazaki per questa pellicola e per le altre, grazie di aver dato a noi adulti la possibilità di sentirci bambini e grazie per non averci lasciato soli in questa meravigliosa e malinconica via di fuga che è quella dell’immaginazione.

Voto: 9

Sabrina di Stefano

LA BOTTEGA DEI SUICIDI

Regia: Patrice Leconte

Soggetto: Jean Teulè

Sceneggiatura: Patrice Leconte

Titolo originale: Le Magasin des Suicides

Anno: 2012

Durata: 85’

Produzione: Francia, Canada, Belgio

Montaggio: Rodolphe Ploquin

Colonna sonora: Etienne Perruchon

TRAMA

La Famiglia Tuvache gestisce da generazioni una piccola bottega dove si può trovare tutto il necessario per ogni tipo di suicidio. Il clima cambierà con la nascita del loro terzogenito: Alain.

RECENSIONI

Ho visto il film a scatola chiusa, leggendo solo le due righe della trama avendo una prima aspettativa molto Disneyana: un cartoon buonista che voglia dare in maniera semi-originale una prospettiva per forza positiva.

La bottega

Mi sono solo in parte ricreduto e divido la mia opinione in tre punti:

–          L’incipit e le scene iniziali sono promettenti, perché passano il messaggio del suicidio come una pratica regolamentata dalla legge (emblematica la scena iniziale nel quale un passante salva un aspirante suicida perché “proibito in pubblico”) stravolgendo la mia idea buonista e collocando la scena subito in un verosimile presente nel quale la crisi economica ma anche di valori la fa da padrona.

–          Lo svolgimento è particolare, non schiaccia l’acceleratore sul “cambieremo tutto il mondo” ma rimane ancorato al contesto e mostra la difficoltà con cui un cambiamento possa essere operato. Molto vero anche l’approccio al mondo degli adolescenti, impegnati a sviluppare una propria identità, anche di tipo sessuale.

–          Il finale si stacca decisamente dalle prime due parti. Tenta di rimanere originale ma mostra una visione che molto si adegua alla mia aspettativa da “pacca sulla spalla”.

E’ un movie comunque da tenere in considerazione: i disegni sono molto curati e i personaggi con uno stile “nightmare before christmas”, dunque l’occhio ottiene la sua parte.

Nota finale: ci sono alcune parti cantate. Nonostante la mia pura avversione per il genere musical e la mia poca sopportazione di questo stile, la mia soglia di tolleranza non è stata superata.

Voto: 6-

Daniele Somenzi di RupertMente