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Regia: Daniele Gaglianone

Soggetto: Daniele Galianone, Giorgio Cattaneo

Anno: 2014

Durata: 120’

Nazione: Italia

TRAMA

Da 25 anni la popolazione della Val di Susa lotta contro la TAV. Una fotografia della frattura fra Stato e cittadini.

RECENSIONE

“Quello preso meglio ero io. La gente reagiva alla polizia in maniera vivace” così Aurelio (dj di Radio Black Out) racconta la sua esperienza di lotta. Il suo desiderio di testimoniare in diretta gli scontri tra i valsusini e la polizia è stato esaudito. Così come Marisa, titolare di un agriturismo, che si è incatenata alla recinzione dei cantieri con le manette comprate in un sexy shop. “Ma il pelo l’ho tolto!”, precisa l’arzilla signora.

Presentato come film italiano al Filmmaker Festival di Milano 2014, Qui tratteggia una serie di ritratti di cittadini che non vogliono perdere il loro il territorio d’appartenenza, dove tutti lottano non contro la polizia ma contro “la polizia No TAV” spiega un padre di famiglia ed ex carabiniere, rimasto ferito in volto da un lacrimogeno. C’è chi si aggrappa alla religione, come Gabriella o chi, come Cinzia, cerca di spiegare il punto di vista dei valsusini alla polizia: “la lotta aggiunge ricchezza alla propria vita. Io sono dalla parte giusta”, afferma la ragazza continuando con “dicono che se non vogliamo la TAV non vogliamo il progresso. Eppure non mi sembra di vivere in una caverna”.

Secondo tutti gli intervistati la TAV è un progetto voluto dalle alte sfere governative e politiche, troppo distanti – fisicamente e mentalmente – per poter realmente comprendere l’enorme disagio creato. Dal 1989. Gaglianone ha cominciato le riprese nel 2012, senza una precisa idea iniziale, lasciando che questi personaggi si raccontassero spontaneamente davanti alla telecamera. Spiega il regista: “Ho fatto questo film perché vivo a Torino. Non sono un giornalista e non è questo il mio lavoro. Mi interessava sentire il racconto di queste persone che si sono trovate da un giorno all’altro in una zona di guerra. Per questi cittadini il rapporto con lo Stato si è ridotto al rapporto con un agente in tenuta antisommossa”.

Un’opera che non vuole spiegare né i pro e contro del progetto ferroviario, né le ragioni della protesta, ma prova a mostrare come i cittadini italiani siano stati totalmente abbandonati dalle istituzioni. Un punto di vista, quello del regista, volutamente parziale. Limitandosi a far conoscere allo spettatore chi siano veramente i valsusini, Gaglianone si è fatto antropologo di un malessere comune.

Voto: 7,5

Francesco Foschini

SOBRE LA MARXA – THE CREATOR OF THE JUNGLE

Regia: Jordi Moratò

Sceneggiatura: Jordi Moratò

Anno: 2014

Durata: 77’

Produzione: Spagna

Colonna sonora: Charly Torrebadella

Interpreti: Josep Pijiula Alias Garrel Jordi Moratò

TRAMA

L’eremita Garrel è un moderno Tarzan che ha scelto di vivere  all’interno di una foresta costruendo da solo la propria casa sugli alberi, al solo scopo di “tenersi occupato”, di essere sempre “in movimento” (da qui il titolo).

RECENSIONE

“L’acqua è l’inizio, il fuoco è la fine”.  Sobre la Marxa, opera d’esordio dello spagnolo Jordi Morató, mette a nudo il rapporto drammatico tra l’uomo e l’imperativo della civilizzazione. Vincitore del secondo premio a Filmmaker 2014 per essere “una riflessione sul senso più profondo dell’arte, dove il puro gioco diventa un’irrinunciabile esperienza di crescita e continuo confronto con l’ambiente”.

Un racconto fra documentario e fiction, dove la realtà si interseca con la fantasia. Il giovane Morató si è fatto portavoce della storia di Garrell, alias Josep Pujiula, eccentrico personaggio che “ha costruito un’intera città dove nessuno vive”, a pochi passi dal piccolo centro urbano di Argelaguer, in Catalogna.

Tutto è iniziato 45 anni fa. La voglia di evadere da un mondo “saturo di civiltà” si è fatta sempre più pressante. Così, il bizzarro Garrell ha cominciato a costruire una vera e propria città di legno, stringendo un forte contatto con la natura e il ritorno al primitivo. Dal 1991 gli si è affiancato Aleix Oliveras, all’epoca 14enne. Armato di telecamera, Oliveras si è fatto osservatore della vita di Garrell. Il rifiuto di tornare alla civiltà è uno degli aspetti fondamentali dell’opera di Morató: “Sono nella giungla. Ho tutto quello di cui ho bisogno e non voglio avere niente a che fare con l’uomo civilizzato” afferma Garrell.

Il Tarzan catalano gioca – assieme al nipote – al ruolo dell’uomo-scimmia, lotta contro un caprone, caccia un coniglio, cucina del pesce appena pescato, si lancia in pozze d’acqua… Il tutto con estrema disinvoltura divertita. Nemmeno un gruppo di vandali motorizzati (per esigenze di copione) riuscirà a fermare la sua vocazione di eremita. Ma dovrà poi fare i conti con dei veri vandali che non hanno seguito alcuna sceneggiatura scritta, quelli che hanno bruciato l’intera città costruita con fatica e ucciso tutti gli animali presenti. “Realtà e finzione si fondono in un’unica immagine”.

I danni subìti nel suo “mondo” hanno cambiato il pensiero del protagonista: “Stupidi uomini civilizzati. Rompete la nostra pace”. Dopo 15 anni di duro lavoro per costruire tutto quello che ha sempre sognato, Garrell si è rimboccato le maniche e ha rifatto tutto da capo. Più grande, più immenso di prima. In pochi anni ha ricreato quello che gli era stato spazzato via dal fuoco, l’elemento cardine della civiltà, l’elemento che provoca la morte delle cose: “Tra acqua e fuoco c’è sempre qualcosa che muore e qualcosa che nasce”.

Passano gli anni, i capelli diventano via via sempre più bianchi e la sua storica Renault 4 viene rottamata: Garrell è arrivato al punto in cui non può più occuparsi del suo microcosmo incontaminato lontano dalla civiltà. La foresta è stata definita pericolosa dalle forze dell’ordine e lui accetta di ritirarsi. Distrugge tutto. Da creatore si è fatto distruttore, chiudendo così un cerchio vitale. Ora ha poco meno di un’ottantina d’anni, ma – ci fa sapere Morató – gioca ancora nella foresta come quando era bambino. Il suo momento di gloria non si è mai spento, l’acqua della sua vita non si è mai prosciugata. È rimasto il re della giungla, della sua giungla.

Voto: 8

Francesco Foschini

TYNDALL

Regia: Fatima Bianchi

Sceneggiatura: Fatima Bianchi

Anno: 2014

Fotografia: Fatima Bianchi

Colonna sonora: Attila Faravelli, Enrico Malatesta, Nicola Ratti

TRAMA

Un faro sulle montagne sopra Brunate: un fascio di luce ruota incessantemente nel buio, illuminando qualcosa rimasto nell’ombra. È una casa dove i membri di una famiglia sono ritratti nella loro vita quotidiana, scambiando lettere con il figlio maggiore, Francesco, che sta trascorrendo un anno di carcere.

RECENSIONE

Vincitore della sezione Prospettive al Milano Filmmaker Festival “per la capacità di scandagliare una dimensione intima e universale rimanendo in bilico tra registri differenti”, Tyndall è un racconto familiare a metà tra video arte e documentario biografico. Un kammerspiel contemporaneo che si giostra tra un racconto epistolare a più voci  e tableaux vivants sospesi nel tempo.

“Credo che l’arte migliore provenga dallo sviluppo naturale dei fatti della vita, con questi intenti ho fatto un film: Tyndall. Un ritratto della mia famiglia in un momento critico, quando mio fratello era in carcere. Il film mette in relazione i personaggi in dialogo con se stessi, la loro vita privata e Francesco dalla cella del carcere”, così ha affermato la giovane regista Fatima Bianchi.

È mattina in casa Bianchi. C’è chi fa colazione, chi pratica yoga, chi si esercita con il violino, chi si rasa i capelli. Tutti occupati nelle loro faccende quotidiane, ma con un unico pensiero comune: Francesco, il primogenito costretto a un anno di galera. Fatima Bianchi ha svolto le riprese nella casa dove è cresciuta – a Brunate, “il Balcone sulle Alpi”, vicino al lago di Como – con un cast d’eccezione, la sua famiglia. Ogni membro viene ritratto attraverso lettere inviate al ragazzo incarcerato. Le loro sensazioni si fanno protagoniste di questa perdita temporanea, creando un malinconico racconto epistolare. Mamma Emma raccomanda al figlio di bere camomilla ogni sera prima di coricarsi, i fratelli Benedetto e Maddalena sottolineano quanto l’assenza forzata di Francesco sia motivo di enorme vuoto, babbo Ermenegildo cerca un confronto sincero col ragazzo per non essere poi rimproverato di omertà in futuro.

Una luce particolare diventa leitmotiv del quadro familiare. È l’effetto Tyndall, da cui la regista ha preso il titolo del corto: “un fenomeno di diffusione della luce dovuta alla presenza di alcune particelle nell’aria. Esso si manifesta, ad esempio, quando i fanali di un’auto sono accesi in un giornata di nebbia. Lo stesso effetto è visibile dal faro sui monti di Brunate, guardando verso la casa della mia famiglia”. Attraverso questo tipo di luce, la vita in casa sembra immobile, lasciando sospese in chi guarda le immagini proiettate. Un mondo parallelo situato nel comasco, avvolto da una foschia onirica che trapassa i vetri liberty del salotto vuoto di casa Bianchi.

La giornata sta volgendo al termine, il sole tramonta dolcemente sulle rive del lago, attorniato dalle montagne. Francesco risponde alla famiglia, sta bene e si sta abituando a quella condizione di vita obbligata: “sto cercando un equilibrio. Ora ho un sacco di tempo che prima non avevo. Grazie per I vagabondi del dharma, Bebe [il fratello Benedetto], mi mancano le ultime cinquanta pagine. È bello, anche se al momento gli unici viaggi concessi sono quelli con la mente. E oggi che è domenica vi immagino tutti a casa e vi sono vicino”.

Voto: 8,5 

Francesco Foschini