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IL RAGAZZO INVISIBILE

Regia: Gabriele Salvatores

Sceneggiatura:  Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo

Anno: 2014

Durata: 100′

Nazione: Italia, Francia

Fotografia: Italo Petriccione

Montaggio: Massimo Fiocchi

Costumi: Sara D’agostin

Colonna sonora: Federico De Robertis, Ezio Bosso, Luca Benedetto, Marialuna Cipolla, Carillon

Interpreti: Ludovico Girardello, Valeria Golino, Fabrizio Bentivoglio, Noa Zatta, Christo Jivkov, Ksenia Rappoport.

TRAMA

Un adolescente scopre di avere un grande dono. Nel frattempo nel suo paese iniziano ad essere rapiti altri ragazzi. È l’occasione per sfruttare il proprio potere.

RECENSIONE

 

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Un film sui supereroi targato Italia. Questa prima indicazione potrebbe farci pensare che i nostri classici supereroi (quelli da panettone, per intenderci) mandino in malora anche un genere che gli americani ci hanno insegnato ad amare, quasi venerare (basti pensare che anche una formica ora è supereroe credibile). Invece no! Salvadores costruisce una trama che risulta essere credibile, appassionante e seria allo stesso tempo.

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Il disagio, la scoperta, il dono, la messa in servizio degli altri , la crisi e la risurrezione sono tutte tappe tipiche ma anche necessarie, che cerchiamo e amiamo nei supereroi tanto forti e tormentati di questi tempi.

A parte la polizia troppo vicina alle macchiette che ci ricordano le famose serie televisive come “Distretto di polizia” e “Squadra Antimafia” ( ma forse qui la distorsione è che sono troppo vicine alla realtà e troppo lontane dall’immagine dei poliziotti FBI) e i ragazzi compagni di scuola del protagonista i quali rimangono nel canovaccio di un carattere che perpetua un’unica modalità di azione (escono dal personaggio solo quando sono in grande difficoltà e vedono nel protagonista un personaggio maturo), il resto regge alla grande.

Regia e scelta dei tempi ottima. Permettono allo spettatore di non perdere il filo della storia e allo stesso tempo con buoni flashback scoprire la genesi del nostro beniamino.

Non manca neanche un accenno clinico al disturbo da deficit da attenzione e iperattività che permette grande pubblico di farsi qualche domanda e acquisire consapevolezza che andare dallo psicologo non significhi per forza essere affetti da pazzia.

Finale ovviamente aperto perché è quello che vogliamo da un superfilm che si rispetti. Sembra infatti che un seguito verrà girato a gennaio 2016.

Spese di realizzazione: 8 milioni
Boxoffice: 5 milioni

Voto: 7

Daniele Somenzi

JOBS

Regia: Joshua Michael Stern

Sceneggiatura:

Anno: 2013

Durata: 122’

Nazione: USA

Fotografia: Russel Carpenter

Montaggio: Robert Komatsu

Scenografia: Freddy Waff

Costumi: Lisa Jensen

Colonna sonora: John Debney

Interpreti: Ashton Kutcher, Josh Gad, Dermot Mulroney, Matthew Modine

TRAMA

I momenti principali della vita di Steve Jobs.

RECENSIONE

“Ogni creazione necessita del tempo dei pensiero della creazione stessa”. Questa potrebbe essere la frase capace di descrive, nella maniera più immediata e sincera, non solo il film ma la vita stessa di Steve Jobs. Ci troviamo da subito a seguire le situazioni che ci spiegano chi sia il protagonista, che parte da se stesso cercando di “connettersi” con la natura e ancora di più con l’idea di semplicità. Semplificazione è la parola chiave che attraversa l’intero film.

I messaggi motivazionali che Jobs ha trasmesso, nei suoi famosi discorsi pubblici, ai ragazzi universitari (qui il più noto) sono concretamente incarnati dalla sua biografia, nel suo costante coraggio e nella fedeltà alle proprie idee: una tenacia che diventa cinismo, una determinazione che può trasformarsi in cattiveria al momento giusto.

Due ultimi messaggi impliciti ma intrisi nella pellicola: tutto quello che viviamo nel nostro passato influenza in maniera determinante quello che poi saremo e come poi agiremo; la nostra vita è costituita da fasi nelle quali possiamo decidere di godere di quel momento oppure lasciarci distrarre dalle false esigenze. Le priorità saranno sempre diverse, la differenza consiste nel nostro modo di viverle.

E’ un film consigliabile a chi non conosce la figura di Jobs, per capire com’è possibile che sia stato definito “il Leonardo da Vinci dei nostri tempi”.

Voto: 6

Daniele Somenzi

AMERICAN HUSTLE

Regia: David O. Russel

Sceneggiatura: Eric Singer, David O. Russel

Anno: 2013

Durata: 138’

Nazione: USA

Fotografia: Linus Sandgren

Montaggio: Alan Baumgarten, Jay Cassidy, Crispin Struthers

Scenografia: Jesse Rosenthal

Costumi: Michael Wikinson

Colonna sonora: Danny Elfman

Interpreti: Christian Bale, Amy Adams, Bradley Cooper, Jennifer Lawrence, Jeremy Renner, Michael Pena, Robert De Niro (non accreditato)

TRAMA

Un sedicente truffatore viene coinvolto in un affare più grande di lui che lo porterà a riflettere sulla propria vita.

RECENSIONE

Il sottotitolo del film – “L’apparenza inganna” – non potevo meglio riassumere il senso di un film di grandi aspettative, ma mendace nella sostanza. La pellicola ha tutti gli accessori giusti: un grande attore che trasforma il suo corpo di film in film, un’ambientazione molto cool, dei costumi fantastici è una serie di altri grandi attori pluripremiati e con nomi di richiamo. Qui risiede il peccato originale del film: avere tanto materiale e tanta carne da mettere al fuoco, ma bruciarla con una trama e delle caratterizzazioni dei personaggi poco curate.

american hustle

Abbiamo un infallibile truffatore che sa come manipolare tutti quelli che ha accanto, tranne la moglie, nonostante essa abbia dei difetti talmente evidenti e irritanti che anche uno con poche risorse saprebbe come divincolarsi da lei senza farsi mangiare dal senso di colpa. Abbiamo una truffa fatta per catturare grandi politici con le mani in pasta (ma siamo sicuri? Si parla in slang di “pezzi grossi” ammiccando allo spettatore)  che un detective decide di mettere in piedi senza un vero obiettivo ma continuando nel corso del film a dire “aspettiamo” per capire cosa succederà.
Lui stesso verrà poi messo incredibilmente da parte. In ultimo, abbiamo un finale che cerca di chiudere la storia in maniera semplicistica e risolvendo problemi e le situazioni difficoltose in poche scene. Ci sono quindi motivi per vedere questo film, ma quello principale purtroppo non c’è: manca una bella storia. Puntare sui orpelli forse ti porta a fare cassa e richiama anche i grandi numeri ma non si può mettere la trama a parte. Sintetizzando:”are you serious? Try again please”.

Voto 4

Daniele Somenzi

NON SPOSATE LE MIE FIGLIE!

Titolo originale: Qu’est-ce qu’on a fai tau Bon Dieu?

Regia: Philippe de Chauveron

Sceneggiatura: Philippe de Chauveron, Guy Laurent

Anno: 2014

Durata:  97’

Nazione: Francia

Fotografia: Vincent Mathias

Montaggio: Sandro Lavezzi

Colonna sonora: Marc Chouarain

Interpreti: Christian Clavier, Chantal Lauby, Ary Abittan

TRAMA 

Un francese cattolico della media borghesia vede sposate tre delle sue quattro sue figlie a uomini di diverse etnie. Quando scopre che la quarta sposerà un uomo di colore, le carte nel mazzo verranno rimischiate.

RECENSIONE

Il film parte presentando situazioni a macchietta e luoghi comuni su cui non sentiamo il bisogno di specificazione – li conosciamo tutti benissimo. Allo stesso tempo si stacca però dal perbenismo tipico delle solite commedie. Dopo la prima mezz’ora, in cui abbiamo fatto la conoscenza dei personaggi, la pellicola decolla e assume un ritmo e un umorismo brillante e simpatico. Si ride veramente! Forse anche grazie al personaggio di Charles (il promesso sposo di colore), di cervello fino nel quale è facile immedesimarsi. La parte centrale è quindi veramente uno spasso e sembra strizzare l’occhio, con le dovute proporzioni, a Quasi amiciProblematizzata però la situazione, il regista cerca una soluzione e un finale che tenda a mettere d’accordo tutti, degenerando nel buonismo: “vogliamoci bene” perché tanto grazie all’amore (e all’alcool) tutto passa e si risolve.

Le vette di umorismo sono alte. Segnaliamo, a titolo d’esempio, la scena del primo incontro di Charles coi futuri coniugi. Un film consigliabile per chi vuole trascorrere due ore in leggerezza.

Voto: 7

Daniele Somenzi

MONUMENTS MEN

Regia: George Clooney

Sceneggiatura: George Clooney, Grant Heslov

Anno: 2014

Durata: 118’

Produzione: Germania, USA

Fotografia: Phedon Papamichael

Montaggio: Stephen Mirrione

Scenografia: James D. Bissel

Costumi: Louise Frogley

Colonna sonora: Alexandre Desplat

Interpreti: George Clooney, Matt Damon, Bill Murray, John Goodman, Jen Dukardin, Hugh Bonneville, Cate Blanchett

TRAMA

Seconda Guerra Mondiale. Il nazismo sta trafugando tutte le opere d’arte presenti in Europa, per selezionare quelle adatte al loro stile e poter allestire dei musei d’arte “assoluta”. Un gruppo di americani avrà l’obiettivo di recuperare queste opere per conservare il messaggio culturale dell’umanità che i nazisti vogliono invece indirizzare verso la propria ideologia.

RECENSIONE

Sia dalle recensioni che dalle interviste ai protagonisti il film viene presentato come un mix tra Ocean’s Eleven (nomi altisonanti che lavorano in collettivo per dare fornire una prestazione degna di nota) e Inglourious Basterds (ce la prendiamo con i cattivi nazisti e colpiamo uno degli aspetti su cui stanno focalizzano l’attenzione: l’arte). In realtà assomiglia più a M.A.SH. in quanto puzzle di scenette che, soltanto una volta messe insieme da lontano, corrispondono al titolo proposto. Peccato che M.A.S.H. nascesse con l’intento di creare dei personaggi “macchietta” che agiscono in maniera comica in situazioni di guerra, mentre Monuments Men si porrebbe il proposito di unire arte, nazismo e un grande cast di star per creare un prodotto semi-autoriale.

Monuments Men

Durante la prima ora si assiste anche qui in maniera farsesca al reclutamento di un gruppo di vecchietti che vengono addestrati come soldati e che pensano soltanto a celebrare l’incontro con brindisi e “riunioni tattiche”, con cartine giganti che più che a scopi strategici sembrano voler insegnare un po’ di geografia agli Americani (non sapranno niente d’Europa, ma anche noi fatichiamo un po’ a ricordarci dove sia il Winsconsin: www.dailybest.it/2013/11/27/mappa-cartina-stati-europa-americani/). I primi piani rivelano espressioni non da duri, ma impauriti, al punto che ai gesti valorosi compiuti da altri si limitano a brindarci sopra. Il film non decolla mai. Con lo scorrere dei minuti l’attenzione dello spettatore comincia a scemare, staccandosi dalla trama per concentrarsi sui baffi di Clooney, il cipiglio di Murray o a cosa scrivere in questa recensione.

Sicuramente ci si sarebbe aspettati di più da Monuments Men, almeno da parte del cast, soprattutto da quel Clooney che, anche in film dello stesso genere e di minor profilo è sempre stato capace di restituire un punto di vista interessante o una riflessione intrigante (da Up in the Air a O Brother, Where Art Thou? fino alle prove registiche di Good Night and Good Luck) che qui resta offuscata.

Monuments Men 2

L’elemento sul quale si era deciso di puntare sembrerebbe la funzione catartica dell’opera d’arte, di fronte alla quale i nostri protagonisti si sciolgono come neve al sole, lasciando però lo spettatore indifferente. Lo spunto iniziale del film, pur molto interessante, rimane così insoddisfatto. La missione è fallita.

 Voto: 4

 Daniele Somenzi

BLING RING

Titolo originale: The Bling Ring

Regia: Sofia Coppola

Sceneggiatura: Sofia Coppola

Anno: 2013

Durata: 90’

Produzione: USA, Gran Bretagna, Francia, Germania, Giappone

Fotografia: Christopher Blauvelt, Harris Savides

Montaggio: Sarah Flack

Scenografia: Anne Ross

Costumi: Stacey Battat

Colonna sonora: Daniel Lopatin, Brian Reitzell

Interpreti: Emma Watson, Katie Chang, Israel Broussard, Claire Julien, Taissa Farmiga

TRAMA

Tratto da una storia vera. Un gruppo di ragazzi adolescenti a Los Angeles entra di nascosto nelle case delle star per rubare loro vestiti e gioielli.

RECENSIONE

La Coppola decide di raccontare questa storia facendo parlare soprattutto i fatti, liberandoli da ogni giudizio morale. Il percorso dei ragazzi è presentato come un gioco del quale viene valorizzata l’escalation, dai furtarelli nelle macchinette aperte fino ai colpi nelle case. Il tutto parte appunto come una banale sfida accennata tra due amici, per combattere la noia con canne, alcool e persino di blog di cronaca rosa. Paris Hilton è fuori casa per un evento mondano; i ragazzi ne approfittano, entrandovi furtivamente e, seppur per pochi minuti, si sostituiscono a lei immergendosi nella sua ricchezza e nel suo stile. Entrare è facile perché la celebrità non è che una persona qualunque, che lascia le chiavi di casa sotto lo zerbino. Tutto sbrilluccica, è bello, è ricco, è alla moda; tutto è facile e alla portata. La gente che lotta, suda, lavora ogni giorno per guadagnarsi ciò che gli piace è lontana anni luce. Basta aprire qualche cassetto e i soldi sono lì a portata di mano. I ragazzi portano via alcuni vestiti, gioielli e borse: la quantità di oggetti è talmente enorme che la Hilton neppure si accorge del furto.

Entra quindi in gioco la dinamica adolescenziale della ricerca del limite. L’eccitazione dei ragazzi è talmente grande per essere riusciti a “finire il livello” senza danno subito, che questo dà il via alla ricerca di un’eccitazione ancora più forte – che, per essere vissuta sino in fondo, va condivisa con gli amici. Il bisogno rompe ogni limite, portandoli a rischiare sempre di più e a parlare liberamente del loro “gioco” anche a semisconosciuti. Il ruolo del genitore è invece quello dell’assenza: è ritratto spietatamente come una figura che compare solo a chiedere “va tutto bene?”, oppure impegnato in un lavoro che lo porta lontano da casa, oppure troppo centrato se stesso per poter aver spazio per pensare al figlio. Il trucco è sempre lo stesso e, nella sua semplicità, alla portata di tutti: controllare su Internet i movimenti delle star per avere via libera. Una volta toccato il limite i ragazzi vengono catturati. In modo circolare si torno all’inizio del film, quando i protagonisti si espongono allo spettatore per raccontare la propria esperienza e per rappresentare la condanna alla società, inadeguata a comprenderli e incoerente nel giudicarli.

 

Ciò che più è interessante non sono i diversi e delicati temi toccati, quanto il modo in cui vengono rappresentate la società moderna e vivere adolescenziale – incentrato sul “qui e ora”: conta solo l’emozione del momento, quello che sta fuori dalla mia vista non esiste e le conseguenze le affronterò quando ci saranno. Gli altri non sanno darmi consigli utili. I miei genitori devono fare come voglio io. La droga è un passatempo. Il furto è divertente. L’obiettivo della regista è stato centrato: presentare allo spettatore una realtà che suscita molte domande e lasciare allo spettatore la responsabilità di una risposta.

Voto: 7,5

Daniele Somenzi

LA MAFIA UCCIDE SOLO D’ESTATE

Regia: PierFrancesco Diliberto

Sceneggiatura: Michele Astori, Pierfrancesco Diliberto, Marco Martani

Anno: 2013

Durata: 90’

Produzione: Italia

Fotografia: Roberto Forza

Montaggio: Cristiano Travaglioli

Scenografia: Marcello Di Carlo

Costumi: Cristiana Ricceri

Colonna sonora: Santi Pulvirenti

Interpreti: Cristiana Capotondi, Pierfrancesco Diliberto, Ginevra Antona, Alex Bisconti, Claudio Gioè

TRAMA

La storia accompagna il protagonista Arturo nella sua giovinezza fino alla prima età adulta, raccontando il suo punto di vista sui fatti accaduti a Palermo tra gli anni 80 e i primi anni 90.

 RECENSIONE

Chi ha seguito i lavori di Pierfrancesco Diliberto – in arte “Pif” – ritroverà in questa sua prima opera da regista la stessa concretezza delle puntate de “Il testimone”, con le sue inchieste divertenti, leggere ma con un punto di vista sempre mirato a restituire un’immagine concreta della persona che intervistava.

In “La mafia uccide solo d’estate” il regista è stato in grado, con inaspettata semplicità, di far vivere una situazione per lui importante e drammatica, in una modalità quasi priva di giudizio nei confronti degli avvenimenti, ma descrivendoli con gli occhi di un bambino e poi di un adolescente e poi di un adulto disinteressato alla situazione in sé.

È proprio questa acriticità che permette allo spettatore di mettersi nei panni dell’altro e riconoscere l’importanza di conoscere questa storia, che è la nostra storia, così vicina nel tempo ma così lontana nella memoria di chi come me è nato nei primi anni 80.

Il paragone con “La vita è bella” di Benigni alla fine della visione è stato praticamente automatico, perché Pif parla di relazione, vissuti, lavoro, amore, famiglia con una grande spensieratezza falciata in alcuni tratti da quello che poi succede in strada durante il film. Significativa anche la sequenza finale – che naturalmente non sveliamo – che passa in maniera molto diretta un messaggio semplice ed esplicito: “Non dimenticare il passato. Anzi! E’ importante conoscerlo e viverlo per costruire un futuro migliore”.

Voto: 7,5

Daniele Somenzi

THE MAZE RUNNER

Regia: Wes Ball

Sceneggiatura: James Dashner, Noah Oppenheim, T. S. Nwlin, Grant Pierce Myers

Anno: 2014

Durata: 114’

Produzione: USA

Fotografia: Enrique Chediak

Montaggio: Dan Zimmerman

Scenografia: Marc Fisichella

Costumi: Christine Bieselin Clark, Simonetta Mariano

Colonna sonora: John Paesano

Interpreti: Dylan O’Brien, Kaya Scodelario, Will Poluter, Thomas Sangster

TRAMA

Il sedicenne Thomas si risveglia privo di memoria in una gabbia in movimento. Dopo qualche secondo viene liberato da alcuni ragazzi.  È arrivato nella radura, un posto sconosciuto che ha un solo limite: il labirinto gigantesco che le fa da contorno e che non permette ai ragazzi di scappare. Il ragazzo scopre di essere solo l’ultimo degli arrivati senza ricordi. La sua curiosità e la sua voglia di libertà porteranno il gruppo a nuove scoperte e alla voglia di rompere lo schema.

RECENSIONE

Se vi sembra di aver già sentito questa trama o almeno in parte vi suona familiare, avete decisamente ragione. Questa pellicola infatti prende spunto da una serie di film con ottime idee e le mixa tutte insieme in maniera tutto sommato equilibrata. Durante la visione richiamiamo inevitabilmente alla memoria momenti della vita da spettatore cinematografico e di serie tv che ci hanno fatto stare bene, che ci hanno sorpreso.

Mi sono ritrovato di nuovo una sera sull’ isola di Lost con il fuocherello acceso. Ho ricercato il senso come già avevano fatto i protagonisti del Cubo, in una realtà in movimento. Ho rivissuto la ribellione di The Experiment con una bella confusione di ruoli. Ho fissato di nuovo per i giovani ragazzi come in Hunger Games. Ho rivisto la faccia di Alien. Ho sentito ancora il profumo di Nuova Zelanda del Signore degli Anelli. Ho provato a mettere insieme i pezzi come in Memento. Ho cercato la mia Identità. Di nuovo, sono scappato dall’Isola da mostri sconosciuti con voci in sottofondo e sono stato alimentato da una botola.

Uscendo dal cinema, felice perché pieno di sensazioni positive, mi sono infine chiesto: ho rivisto un album di vecchie foto oppure ne ho scattate di nuove venendo influenzato dalla mia esperienza passata? È proprio questa domanda che mi fa dire sì: ne vale la pena.

Voto: 7,5

Daniele Somenzi

LA BOTTEGA DEI SUICIDI

Regia: Patrice Leconte

Soggetto: Jean Teulè

Sceneggiatura: Patrice Leconte

Titolo originale: Le Magasin des Suicides

Anno: 2012

Durata: 85’

Produzione: Francia, Canada, Belgio

Montaggio: Rodolphe Ploquin

Colonna sonora: Etienne Perruchon

TRAMA

La Famiglia Tuvache gestisce da generazioni una piccola bottega dove si può trovare tutto il necessario per ogni tipo di suicidio. Il clima cambierà con la nascita del loro terzogenito: Alain.

RECENSIONI

Ho visto il film a scatola chiusa, leggendo solo le due righe della trama avendo una prima aspettativa molto Disneyana: un cartoon buonista che voglia dare in maniera semi-originale una prospettiva per forza positiva.

La bottega

Mi sono solo in parte ricreduto e divido la mia opinione in tre punti:

–          L’incipit e le scene iniziali sono promettenti, perché passano il messaggio del suicidio come una pratica regolamentata dalla legge (emblematica la scena iniziale nel quale un passante salva un aspirante suicida perché “proibito in pubblico”) stravolgendo la mia idea buonista e collocando la scena subito in un verosimile presente nel quale la crisi economica ma anche di valori la fa da padrona.

–          Lo svolgimento è particolare, non schiaccia l’acceleratore sul “cambieremo tutto il mondo” ma rimane ancorato al contesto e mostra la difficoltà con cui un cambiamento possa essere operato. Molto vero anche l’approccio al mondo degli adolescenti, impegnati a sviluppare una propria identità, anche di tipo sessuale.

–          Il finale si stacca decisamente dalle prime due parti. Tenta di rimanere originale ma mostra una visione che molto si adegua alla mia aspettativa da “pacca sulla spalla”.

E’ un movie comunque da tenere in considerazione: i disegni sono molto curati e i personaggi con uno stile “nightmare before christmas”, dunque l’occhio ottiene la sua parte.

Nota finale: ci sono alcune parti cantate. Nonostante la mia pura avversione per il genere musical e la mia poca sopportazione di questo stile, la mia soglia di tolleranza non è stata superata.

Voto: 6-

Daniele Somenzi di RupertMente