Regia: Greg Araki
Sceneggiatura: Gregg Araki
Anno: 2010
Durata: 85′
Produzione: USA, Francia
Fotografia: Sandra Valde-Hansen
Montaggio: Gregg Araki
Scenografia: Todd Fjelsted
Costumi: Trayce Gigi Field
Colonna sonora: Ulrich Schnauss, Mark Peters, Vivek Maddala, Robin Guthrie
Interpreti: Thomas Dekker, Haley Bennett, Chris Zylka, Roxane Mesquida, Juno Temple
TRAMA
Smith è un diciottenne studente di cinema che non sa di avere dei poteri paranormali. Ad una festa è convinto di aver visto l’omicidio di una ragazza dai capelli rossi che non conosce, ma che ha sognato in maniera ricorrente.
RECENSIONE
Kaboom è forse uno dei titoli più efficaci nella filmologia del regista losangelino Gregg Araki. Il termine, che in chiave onomatopeica rievoca lo scoppio di un disastro, si sposa alla perfezione con i meccanismi narrativi della sceneggiatura (realizzata dallo stesso Araki), dando vita ad un climax di ironia e mistero, per poi culminare in un inaspettato epilogo.
Kaboom è uno stato d’animo, come lo è l’inizio dell’università per Smith (Thomas Dekker), il giovane protagonista della pellicola che, caratterizzato dall’impronta dell’antieroe postmoderno arakiana, si sta per spingere nella sperimentazione di tante nuove esperienze, dal sesso alle droghe, sullo sfondo di una vita universitaria caratterizzata da misteriose lettere e sogni troppo vividi per essere solo verisimili. Kaboom è un’esplosione che arriva a tingere alcuni espedienti tipici della fiaba classica con tonalità grunge, creando così un mondo dove la normalità e lo strano convivono insieme. Kaboom è il suono della curiosità che spinge Smith e le sue due amiche Stella (Haley Bennet) e London (Juno Temple) a fare luce sulla misteriosa scomparsa di una ragazza, la stessa presente nei suoi sogni, che Smith sostiene di aver visto uccidere da un gruppo di assassini mascherati.
Gregg Araki ricrea due filoni narrativi che procedono in parallelo: la sete di scoperte tipica dei 19 anni e un intreccio dove ogni persona e avvenimento ha a che fare con la risoluzione del mistero. Realtà e sogno vengono legati tra loro da quell’ironia tipica del cinema anni novanta, tanto cara alla poetica del regista, senza che tuttavia vadano intaccati i pilastri concettuali della storia. La serietà di certe battute e scene è costantemente contaminata da particelle di demenzialità e sensualità che se da un lato solcano la storia con ritmi incisivi, dall’altro rappresentano l’elemento di fascino della pellicola.
Nella propria peculiarità l’opera mantiene una sua imprevedibile coerenza anche sul piano tecnico; basti pensare ai continui flashback metanarrativi che richiamano lo spettatore a fare costantemente il punto della situazione e agli innumerevoli primi piani che si nsinuano qua e la all’improvviso arricchendo le sfumature semantiche di fruizione. Allo stesso modo anche il soundtrack contribuisce a delineare momenti e personaggi, in un’andatura leggera e senza troppe pretese ma allo stesso tempo ricca di sottili spaccati sociali e critiche generazionali. In un’epoca in cui la crisi dei valori e gli interrogativi su un amaro collasso del pianeta si fanno sempre più dilaganti, Gregg Araki ha proposto, tramite una mise-en-scéne dell’assurdo, una sua personale visione di questi temi che, a prescindere da quelli che siano i personali gusti cinematografici, merita di nota.
Voto: 8
Mattia Maramotti