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STILL LIFE

Regia: Uberto Pasolini

Sceneggiatura: Uberto Pasolini

Anno: 2012

Durata: 87′

Produzione: Italia, Gran Bretagna

Fotografia: Stefano Falivene

Montaggio: Tracy Granger, Gavin Buckley

Scenografia: Lisa Hall

Colonna sonora: Rachel Portman

Interpreti: Eddie Marsan, Joanne Forggat, Karen Drury, Andrew Buchan.

TRAMA

Sullo sfondo di una città della grigia provincia londinese viene raccontata la vita di John May, impiegato distrettuale addetto alla ricerca di parenti e amici di persone defunte in completa solitudine. Dopo anni di fedele e diligente lavoro May perde il posto, ma prima vuole portare a termine il suo ultimo caso.

RECENSIONE

Alla sua seconda pellicola da regista, Uberto Pasolini dirige sapientemente un film suddiviso in due scenari predominanti.

Il primo è basato esclusivamente sulla ripetitività, sulla solitudine, sul grigiume soffocante che attanaglia il vissuto di un uomo senza pretese, soggiogato dal fluire degli eventi che lo raffigurano come un mediocre automa che sottostà alle leggi di un sistema ben più grande chiamato monotonia. In questa sezione prevalgono i toni pacati di colore, quasi smunti e opachi, uniti alle luci prevalentemente piatte che volutamente sono finalizzate a non focalizzare l’attenzione dello spettatore su alcun aspetto specifico, proprio perché il tutto deve essere la medesima parte del perennemente identico. Gli esterni sono umili e comuni di una città senza nome così come gli interni sono quasi sempre realizzati con pareti bianche o grigie rimanendo fedeli al concetto di pallida impersonalità. Niente quadri o tappezzerie eccentriche e niente inutili ninnoli, eccezion fatta per gli alloggi dei vari solitari defunti che invece ospitano disparati oggetti ma sempre di ben poco valore e assolutamente privi di sentimento o legame umano. L’ufficio di May, così come la cucina e il salotto che gli appartengono, ben rappresenta il carattere perfettamente ordinato, senza sbavature e dentro lo stereotipo dell’uomo infelice, solitario e senza nerbo mosso esclusivamente dalle noiose consuetudini. Eccellente la performance dell’attore Eddie Marsan, nella cui mimica è facilmente riconoscibile la singolare espressione di volontaria rassegnazione che va di pari passo con i toni semplici e piani di chi per l’appunto vive una realtà lineare. Pochi dialoghi e di facile comprensione che marcano ancora di più la capacità dell’attore, probabilmente poco conosciuto al pubblico italiano, di tradurre in immagini e forma d’arte un mondo interiore semplicemente attraverso la gestualità corporea e soprattutto attraverso la peculiare espressività del volto.  A dar voce ai lunghi silenzi, o alle poche parole spese leggermente, visti gli elementari scenari del quotidiano, è la musica di fondamentale rilevanza che accompagna e riempie la proiezione come un enjambement pronunciato dalle singole note del piano, a partire dai titoli di testa fino a quelli di chiusura, ponendosi come un fil rouge di emozioni.

Il secondo scenario è basato invece sulla riscoperta (o semplice scoperta, non ci è dato sapere) dei sentimenti, delle opportunità, di un cambiamento che può donare il valore aggiunto all’eterno scorrere delle situazioni. Le riprese cambiano, le immagini pressoché fisse dell’incipit lasciano il posto al dinamismo, al dialogo sia effettivo che visivo rendendo il tutto più luminoso e brillante.
John May entra rispettosamente nelle vicende che hanno caratterizzato la vita del vecchio alcolizzato e le stesse crescono in enfasi, partendo dunque dalla squadra di rugby frequentata in gioventù, alla lotta lavorativa all’interno dell’azienda produttrice di pasticci di carne, al primo amore, alle risse, al carcere, alla dipendenza dall’alcol ed infine alla figlia messa al mondo e quasi abbandonata ma mai dimenticata.
Pasolini accenna soltanto alla relazione speciale che (forse) viene sviluppandosi tra May e Kelly, la figlia perduta di Stoke, uniti probabilmente da un comune senso di vuoto e insoddisfazione, ma decide di chiudere drammaticamente il film con l’improvvisa morte dell’impiegato: vittima di una svista che il suo animo divenuto più leggero commette; forse dovuta chissà ad un principio di innamoramento, in barba alla maniacale precisione di un tempo.
Alla cerimonia in chiesa per l’ultimo addio alla salma non presenzierà nessuno, nessuno getterà un fiore sulla sua tomba e sempre quel nessuno rivolgerà un estremo saluto accompagnando dolcemente a miglior vita il corpo freddo del piccolo e dimenticato uomo. John May si ritroverà, anche da morto, completamente solo. A presenziare al suo eterno giaciglio spoglio e privo di lapide, come se la maledizione dell’anonimato lo perseguiti anche dopo il decesso, sono i fantasmi dei defunti di cui in vita si è occupato, riconoscenti di aver ottenuto almeno una commemorazione dignitosa e rispettabile. Primo a comparire fra tutte le metafisiche presenze per lasciare un personale e silenzioso grazie sarà proprio Billy Stoke.

Voto: 7

Jessica Egitto

BLACK MIRROR 1X02 – FIFTEEN MILLION MERITS

Ideatore Serie Tv: Charlie Brooker

Regia: Euros Lyn

Sceneggiatura episodio: Charlie Brooker, Kanaq Huq

Anno: 2011

Durata: 62′

Produzione: Zeppotron per Channel 4

Paese di produzione: Regno Unito

Interpreti: Daniel Kaluuya, Jessica Brown Findlay, Rupert Everett

TRAMA

In un futuro imprecisato gli esseri umani passano le loro giornate pedalando su delle cyclette per guadagnare crediti (“meriti”) che permettono l’acquisto di programmi diversi. Un giorno Bing si innamora della bella Abi e decide di aiutarla a realizzare il suo sogno di diventare una cantante.

RECENSIONI

A legare fra loro i vari episodi di Black Mirror non sono i media e la tecnologia in quanto tematica, ma in quanto prospettiva o punto di vista: essi rappresentano lo “specchio” più fedele per l’uomo del nuovo millennio, capace di mostrare le ombre che si annidano in ognuno di noi (l’immagine dello specchio vuole coinvolgerci in maniera diretta, personale, intima) in quanto anesteticamente immersi nella società. Leggiamo allora Black Mirror non tanto come critica alla società di massa – benché essa rappresenti in effetti il nemico, l’alterità (nella forma del volto o della maschera), il mostro costante di tutti gli episodi –, ma come spietato riflesso della problematica creatura sociale che siamo.

Black Mirror 15 Million Merits 3

Viene sfruttato un meccanismo preciso e ben gestito, che consiste nel forzare le logiche sociali fino a distorcerle e a farle esplodere nella loro paradossalità. Ecco perché il genere proprio di questa serie – non per le tematiche trattate ma in quanto dimensione di senso – è quello fantascientifico, meglio capace di veicolare la logica dell’assurdo: 15 Millions of Merits stupisce proprio per la pervasività del suo immaginario distopico, mentre The National Anthem e The Waldo Moment sono sembrati, in tale prospettiva, meno potenti sia da un punto di vista estetico-espressivo che tematico, proprio perché ambientati in una realtà troppo vicina alla nostra e meno adatta a ergersi a specchio deformante.

Black Mirror 15 Million Merits 3

“15 Millions of Merits” rappresenta dunque, in tale prospettiva, l’episodio più significativo della serie, nonché quello maggiormente capace di esprimerne i pregi e alcune debolezze di base: una presentazione troppo esplicita delle tematiche proposte; uno stile che si vuole tragico-solenne e che troppo spesso scivola nel moralismo, soffocando ogni traccia di ironia – ingrediente pericoloso e difficile da gestire, ma è proprio quanto mi sarei aspettato dal genio di Charlie Brooker.

Black Mirror 15 Million Merits 1

Ironia e assurdo dovrebbero essere – come avviene in 15 Million Merits – le parole chiave di questa operazione, perché Black Mirror è soprattutto questo: il paradosso di una potente denuncia ai mezzi di comunicazione veicolata proprio da una serie tv, da internet e da questa stessa recensione.

Voto: 8

Patrick Martinotta

LA BOTTEGA DEI SUICIDI

Regia: Patrice Leconte

Soggetto: Jean Teulè

Sceneggiatura: Patrice Leconte

Titolo originale: Le Magasin des Suicides

Anno: 2012

Durata: 85’

Produzione: Francia, Canada, Belgio

Montaggio: Rodolphe Ploquin

Colonna sonora: Etienne Perruchon

TRAMA

La Famiglia Tuvache gestisce da generazioni una piccola bottega dove si può trovare tutto il necessario per ogni tipo di suicidio. Il clima cambierà con la nascita del loro terzogenito: Alain.

RECENSIONI

Ho visto il film a scatola chiusa, leggendo solo le due righe della trama avendo una prima aspettativa molto Disneyana: un cartoon buonista che voglia dare in maniera semi-originale una prospettiva per forza positiva.

La bottega

Mi sono solo in parte ricreduto e divido la mia opinione in tre punti:

–          L’incipit e le scene iniziali sono promettenti, perché passano il messaggio del suicidio come una pratica regolamentata dalla legge (emblematica la scena iniziale nel quale un passante salva un aspirante suicida perché “proibito in pubblico”) stravolgendo la mia idea buonista e collocando la scena subito in un verosimile presente nel quale la crisi economica ma anche di valori la fa da padrona.

–          Lo svolgimento è particolare, non schiaccia l’acceleratore sul “cambieremo tutto il mondo” ma rimane ancorato al contesto e mostra la difficoltà con cui un cambiamento possa essere operato. Molto vero anche l’approccio al mondo degli adolescenti, impegnati a sviluppare una propria identità, anche di tipo sessuale.

–          Il finale si stacca decisamente dalle prime due parti. Tenta di rimanere originale ma mostra una visione che molto si adegua alla mia aspettativa da “pacca sulla spalla”.

E’ un movie comunque da tenere in considerazione: i disegni sono molto curati e i personaggi con uno stile “nightmare before christmas”, dunque l’occhio ottiene la sua parte.

Nota finale: ci sono alcune parti cantate. Nonostante la mia pura avversione per il genere musical e la mia poca sopportazione di questo stile, la mia soglia di tolleranza non è stata superata.

Voto: 6-

Daniele Somenzi di RupertMente