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SHAME

Regia: Steve McQueen

Sceneggiatura: Abi Morgan, Steve McQueen

Anno: 2011

Durata: 99’

Nazione: Gran Bretagna

Fotografia: Sean Bobbitt

Montaggio: Joe Walker

Scenografia: Judy Becker

Costumi: David Robinson

Colonna sonora: Harry Escott

Interpreti: Michael Fassbender, Carey Mulligan, James Badge Dale, Hannah Ware

RECENSIONE

Shame parla di Brandon, un uomo adulto apparentemente stabile dal punto di vista economico e sociale, del cui passato sappiamo ben poco. Capiamo presto, però, come vi sia un’ombra sotto quell’apparenza: un’insana attrazione per la pornografia e per il sesso in generale che lo porta a concedersi una certa quantità di piacere fisico al giorno tanto da diventarne schiavo. Che questo piacere provenga dalla masturbazione o dagli incontri casuali con perfette sconosciute o prostitute sempre diverse, non fa differenza. La spirale in cui si trova Brandon é, come per ogni dipendente, lenta ed inesorabile. Questa lo trascina sempre più in basso fino al deteriorante danneggiamento emotivo, oltre che fisico, di se stesso. Il film parla chiaramente di dipendenza sessuale, della continua ricerca di quella sensazione di sollievo data dall’apice sessuale usata come anestetico/medicinale per un disagio interiore più profondo che affonda radici in un passato che, qui, non ci viene rivelato.

“Non siamo persone cattive, solo che veniamo da un brutto posto”. Gli lascia detto la sorella Sissy nella segreteria telefonica. Superficie uguale e speculare del personaggio di Brandon é rappresentata proprio dalla sorella. Dipendente sessuale, lui, e dipendente affettiva, lei, Sissy é completamente l’opposto del fratello. Essa apre le braccia al mondo cercando incessantemente qualcuno da cui essere amata immediatamente, incondizionatamente, infantilmente, disperatamente. Sissy richiede attenzioni in particolare a suo fratello, patologicamente incapace di dargliele e riluttante all’idea. Lo squilibrio emotivo della sorella genera una massiva insofferenza in Brandon al quale lei ricorda, con l’irruente e costante presenza (prima telefonica e poi fisica), le probabili ferite aperte della loro storia comune. I due hanno una pungente discussione in cui un sempre più esasperato Brandon, credendosi più sano e competente, le rimprovera le sue debolezze e mancanze, non concedendole mai (eccetto per un breve momento durante l’esecuzione di lei in un piano bar della canzone New York New York) di scalfire la sua corazza.

Una corazza l’hanno costruita entrambi ma con due materiali diametralmente opposti. Quella di Brandon é fatta per respingere, é sterile, alta, ferma. Quella di Sissy invece é malleabile, é fatta per accogliere, quasi per inglobare l’altra persona cercando di farla restare attaccata. A causa del successivo allontanamento o abbandono della persona amata, infatti, Sissy rimane devastata tanto da arrivare ad attuare una decisione estrema a seguito del rifiuto da parte della persona per lei più importante, Brandon.

Nel film gioca un ruolo molto importante l’intimità. Essa può riguardare vari ambiti delle relazioni umane. Si può intendere intimità la confidenza che si crea tra due persone dopo una prolungata condivisione della vita quotidiana. Si può intendere intimità anche la particolare complicità che fa si che due persone comunichino reciprocamente, in modo autentico, le loro emozioni e sensazioni l’una all’altra. E si può intendere l’intimità come la dimensione sessuale vissuta ad un livello diverso, più alto rispetto a quello strettamente erotico o fisico. Di fatto, tutte queste versioni del concetto di intimità prevedono una certa consapevolezza ed amore, innanzitutto, verso se stessi. Brandon non ha questo riguardo per sé e non esprime mai l’intenzione di andare infondo al disagio che prova per analizzarne l’origine e le dirette conseguenze, anzi, si mette in situazioni in cui può facilmente esercitare un controllo: paga una escort perché lei, dopo, possa riprendere le sue cose ed andarsene così da non farlo sentire responsabile di un’altra persona, né tanto meno vulnerabile rispetto a questa. É esattamente quello che succede con Marianne, accattivante ed emotivamente matura collega di lavoro che gli permette di aprirsi, di accogliere se stesso oltre che un’altra persona. Marianne permette a Brandon di vivere, per un momento, il rapporto sessuale non come mero atto fisico finalizzato ad un risultato, bensì come scambio vicendevole tra due persone consapevoli, alla pari. In quella circostanza, Brandon reagisce ritirandosi immediatamente, ritornando di corsa alle vecchie abitudini e, forse, segnando il suo destino nella continua ricerca di una eterna insoddisfazione.

Voto: 9

Cristina Malpasso

MIRACOLO A LE HAVRE

Titolo originale: Le Havre

Regia: Aki Kaurismaki

Sceneggiatura:Aki Kaurismaki

Anno: 2011

Durata: 93’

Produzione: Finlandia, Francia, Germania

Fotografia: Timo Salminen

Montaggio: Timo Linnasalo

Scenografia: Wouter Zoon

Costumi: Frédéric Cambier

Colonna sonora: The Renegades

Interpreti: André Wilms, Kati Outinen, Jean-Pierre Darroussin

TRAMA

Marcel Marx, ex scrittore, vive a Le Havre insieme alla moglie, frequenta il bar del quartiere e lavora come lustrascarpe. Un giorno scopre che la moglie è gravemente malata e conosce un ragazzino africano immigrato illegalmente dall’Africa.

RECENSIONE

Con uno stile personalissimo, essenzialista nella forma e nei contenuti, quasi à la Tatì, Kaurismäki rievoca De Sica con brio; ma se Milano è la città dove veramente i miracoli non potevano accadere, se non nel volo della fantasia di orfani e barboni in bicicletta fra le nubi, a Le Havre ci sono Clochard (ex bohemien) e profughi, ci sono ancora le buone maniere e dei buongiorno che (naturalmente) “vogliono davvero dire buongiorno”. Soprattutto, là c’era il cielo come unico (e indisponibile) orizzonte; qua c’è il mare, aperto verso un paradiso a portata di mano (l’Inghilterra e l’abbraccio materno) e puntualizzato con l’immagine finale – la più essenziale e semplice che ci sia – del ciliegio in fiore.

Le Havre 1

Uno stile che deve pagare pegno: la cura accogliente dei particolari, nelle immagini, nella musica, nelle parole e in volti straordinari, costa al film una formalità che produce un effetto paradossale: quasi che – di contro alla concretezza del film di De Sica che si rifugiava nel sogno – quella di Le Havre fosse una dimensione totalmente onirica.

Le Havre 2

Un ex clochard e un profugo hanno poi lo stesso sogno: una casa e un abbraccio.

Voto: 7

Patrick Martinotta