GHOSTBUSTERS

Regia: Paul Feig

Sceneggiatura: Kate Dippold, Faul Feig

Anno: 2016

Durata: 116’

Nazione: USA

Fotografia: Robert D. Yeoman

Montaggio: Melissa Bretherton, Brent White

Scenografia: Jefferson Sage

Costumi: Jeffrey Kurland

Colonna sonora: Theodore Shapiro

Interpreti: Melissa McCarthy, Kristen Wiig, Kate McKinnon, Leslie Jones, Chris Hemsworth, Cecily Strong, Andy Garcia

TRAMA

Gli acchiappafantasmi sono tornati, ma al femminile!

RECENSIONE

Quando ti spetta l’ingrato compito di raccontare ad altri un film che non hanno ancora visto, quanto ti tocca esprimere un giudizio che potrebbe influenzarli nella scelta di vedere quel film o meno, a volte non puoi fidarti nemmeno dei tuoi occhi. Specialmente se il film in questione ha una storia produttiva tanto travagliata quanto quella dell’atteso remake/reboot di Ghostbusters, uno dei culti assoluti degli anni ’80. No, non ti puoi fidare solo dei tuoi occhi. Perché gli occhi possono essere ingannati, distratti, abbindolati dal gioco delle tre carte del marketing, così come dai desideri inconsci che tutti serbiamo nel nostro animo. I tuoi occhi credono di assistere ad un film epocale perché il tuo cuore vuole credere che lo sia. Così come gli stessi occhi possono convincersi di essere testimoni di un flop clamoroso, solo perché lo hanno letto poche ore prima su Facebook. Ghostbusters è, in questo senso, un campo minato. Nei mesi (gli anni?) precedenti all’uscita nelle sale della pellicola, sopra di essa si erano progressivamente addensati i neri nuvoloni del dissenso popolare. Chiunque abbia anche solo un piede nel fantastico mondo della celluloide, sa che intorno a questo film è stata combattuta una guerra. Una guerra all’ultimo hashtag tra nostalgici ed entusiasti, tra una generazione che si sentiva derubata di un mito della propria infanzia nel nome del Dio Denaro, e altri appassionati che volevano dare una chance alla coraggiosa decisione di affidare la parte delle protagoniste ad un gruppo di donne, rappresentanti della migliore stand up comedy contemporanea. Una guerra che ha visto schierarsi padri nobili dell’operazione da un lato, e capipopolo dell’Internet dall’altro. E la guerra, lo sapete bene, ti porta via tutto. Anche la capacità di guardare alle cose per quello che sono. Vedere tutti quei video-reazione, leggere tutti quegli articoli, consumarsi le diottrie analizzando i trailer fotogramma per fotogramma, ti sporca gli occhi. E non ti puoi più fidare di uno strumento reso inservibile.

Prima sommessamente, qualche risolino sporadico mentre le varie pedine del film venivano disposte sulla scacchiera (la rituale presentazione delle protagoniste, le prime fugaci apparizioni ectoplasmatiche, l’esibizione delle gloriose cianfrusaglie tecnologiche…). Poi più forte, sempre più forte, mentre Paul Feig, come un consumato direttore di orchestra, conduceva sapientemente le interazioni del suo quartetto d’archi sullo schermo. Melissa McCarthy, Kristen Wiig, Kate McKinnon e Leslie Jones si dimostravano affiatate, inanellavano un’arguzia dopo l’altro senza mai sbagliare un tempo comico, e la gente rideva. Senza alcun dubbio rideva.

Chris Hemsworth gigioneggiava divertito nel suo ruolo di adorabile fustacchione svampito, e la gente si sbellicava. E tra tutte quelle risate, che sorpresa, che confortante sorpresa scoprire che c’era anche la mia. Proprio io che avevo alzato più di un sopracciglio all’annuncio del cast, pensando ingenuamente ad una vuota concessione alle quote rosa. Proprio io che, all’uscita del primo trailer, ero inorridito alla vista di effetti speciali che sembravano obsoleti e di scarsa fattura. Io che ero entrato in sala pronto a incrociare i flussi di disincanto e cinismo, eccomi a ridere come un bambino mentre Kate McKinnon contorceva il suo corpicino ossuto di fronte alla cinepresa, e Melissa McCarthy mi regalava la sua interpretazione migliore dai tempi di Mike&Molly. Anche i tanto vituperati effetti speciali, che teoricamente avrebbero potuto affossare la qualità della pellicola, si rivelano in realtà perfettamente funzionali al loro scopo: suggeriscono il senso di minaccia senza indurre quel terrore che guasterebbe l’atmosfera giocosa che pervade la sceneggiatura. Lasciano correre i brividi lungo la schiena, senza mai cancellare il sorriso dal volto. Ed è anche per questo che tutti in quella sala si tenevano la pancia dal ridere: perché nessuna risata è più liberatoria di quella che segue un salto sulla poltrona.

ghostbusters 2016

Perché le orecchie non mentono: abbiamo riso tutti, e non posso dirvi altro. Perché svelarvi oggi anche il più piccolo particolare su quello che potrete vedere tra poche ore in sala, sarebbe come togliere un ingranaggio da quella piccola bomba ad orologeria che scoppierà in faccia a tutti i detrattori, a tutti i finti esperti di Internet, a tutti quelli che “le ragazze non fanno ridere”, a tutti quelli che già si fregavano le mani all’idea di vedere questo film fallire. Non prestate attenzione ai chiacchieroni su Internet. Don’t believe the hype, come rappavano i Public Enemy nell’88. Sopratutto non ascoltate quei profeti di sventura che dall’alto dei loro pupazzetti originali del Marshmallow Man erano pronti a sparare a zero su qualsiasi cosa che non fosse Bill Murray e Gozer il Gozeriano.

A tutti coloro che lanciavano strali di sventura su questo manipolo di audaci caratteriste, impegnate a sfidare un monumento della cultura pop contemporanea. Non curatevi di loro, perché una risata li seppellirà. E se poi quelli, animati dal livore e dalla supponenza che li avevano pervasi in vita, tornassero dalla tomba per camminare di nuovo sulla terra, tu chi chiamerai? Ma le acchiappafantasmi, naturalmente.

Voto: 7,5

Alberto Coletti

THE GIVER

Regia: Philip Noyce

Sceneggiatura: Michael Mitnick

Anno: 2014

Durata: 97’

Nazione: USA

Fotografia: Ross Emery

Montaggio: Barry Alexander Brown

Scenografia: Ed Verreaux

Costumi: Dianna Cilliers

Musiche: Marco Beltrami

Interpreti: Brenton Thwaites, Odeya Rush, Jeff Bridges, Meryl Streep.

TRAMA E RECENSIONE

Tratto dall’omonimo romanzo distopico di Lois Lowry, The Giver, ambientato in un imprecisato futuro, presenta un mondo in bianco e nero (alla Pleasantville di Gary Ross) in cui l’uomo ha forzatamente eliminato dalla sua vita colori, passioni ed emozioni per cancellare definitivamente il male e la violenza, intrinsechi fino ad allora nella natura umana. In una simile società “ideale”, la sfera privata, il lavoro e qualsiasi tipo di organizzazione sono controllate e programmate da un “consiglio di Anziani” con l’intento di allontanare definitivamente il disordine, la brutalità e la prepotenza per le quali ciascun uomo cede involontariamente e naturalmente. Durante la “Cerimonia dei 12”, quando ciascun giovane viene avviato verso il suo futuro lavoro, Jonas, il protagonista, data la sua spiccata sensibilità, viene scelto come “raccoglitore di memorie”.  Presto il ragazzo viene a conoscenza del compito a cui è affidato e conosce il suo Donatore , un uomo anziano (interpretato dal grande Jeff Bridges) che ha il compito di accompagnare con la forza della memoria  Jonas attraverso l’esperienza di tutte le bellezze ma anche di tutte le disgrazie e malvagità dell’umanità che il consiglio degli anziani aveva abolito dal mondo.

the giver 2

Non appena Jonas entra in contatto con le emozioni cambia radicalmente il suo modo di essere e la scena cinematografica cambia insieme a lui: le immagini diventano prima sbiadite poi, pian piano, a colori. Jonas comprende che la vera essenza dell’uomo è la sua abilità nel “sentire” e diventa consapevole, grazie al Donatore,  di quanto fino ad allora, la sua società, con l’unico scopo di proteggere gli uomini, li abbia di fatto privati della propria vera natura. Dopo quest’esperienza Jonas entra in conflitto dapprima con la famiglia, che lo riconosce strano e diverso, poi con lo stesso consiglio degli anziani, che inizia a temerlo come potenziale minaccia dell’equilibrio che loro stessi erano riusciti a creare.

(L-R) BRENTON THWAITES and ODEYA RUSH star in THE GIVER

Uno dei punti di forza del film è la sorprendente capacità del regista a inserire nel corso della storia scene di vita umana, dal notevole carico di passione e profondità, che sapessero commuovere e colpire la sensibilità non solo di Jonas, ma anche dello spettatore stesso.  Egli rivive infatti le emozioni suscitate come se le sperimentasse per la prima volta insieme a Jonas. Il “sentire” del protagonista, quindi, si materializza in immagini concrete, che rappresentano la nascita di un bambino, descrivono l’amore di una madre o la sofferenza di una guerra e che diventano emblematiche per testimoniare l’importanza del sentimento sia positivo che negativo nella vita dell’uomo. Che senso ha eliminare il male e la sofferenza dell’uomo se il prezzo da pagare è eliminare l’uomo stesso?

Voto: 7

Silvia Cutuli

LUI E’ TORNATO

Titolo originale: Er ist wieder da

Regia: David Wnendt

Sceneggiatura: David Wnendt, Johannes Boss, Minna Fischgartl, Timur Vermes, (tratto dall’omonimo romanzo di Timur Vermes).

Anno: 2015

Durata: 116′

Nazione: Germania

Fotografia: Hanno Lentz

Montaggio:  Hans Funck

Scenografia:  Johannes Boss, Marco Kreuzpaintner

Costumi: Elke von Sivers

Colonna sonora: Enis Rotthoff

Interpreti: Oliver Masucci, Fabian Busch, Katja Riemann, Christoph, Maria Herbst, Franziska Wulf, Michael Kessler

TRAMA

Adolf Hitler si risveglia a Berlino nel 2015, confuso e spaesato dal mondo che lo circonda. Il Führer incontra Fabian Sawatzki, un aspirante regista, che, scambiandolo per un imitatore dal talento prodigioso, decide di farlo conoscere al mondo. Hitler diventa ben presto un fenomeno mediatico, acquisendo una sempre più grande popolarità e venendo ospitato in importanti programmi televisivi nazionali. Il film, impostato in larga parte come una sorta di candid camera alla “Borat” (2006), mostra le reazioni dei cittadini tedeschi nei confronti del dittatore.

RECENSIONE

Lui è tornato è un film cristallino, in equilibrio tra la satira più feroce e la parodia più brillante. E’ una tortura dilaniante che illude e violenta l’empatia dello spettatore, ma al contempo lo lega in un paradossale e ambivalente senso di divertimento. Il dittatore confuso che si trova a dover affrontare la realtà di una Germania così diversa da come l’aveva immaginata non può che suscitare in noi ilarità. Hitler decontestualizzato e collocato nel ventunesimo secolo è, di fatto, un personaggio buffo. Ma quella che suscita il film è la stessa risata nervosa di chi vede in faccia l’Orrore e non può fare altro che negarlo, sdrammatizzarlo, squalificarlo in quanto inconcepibile. Non scombussola, ma letteralmente sgretola le nostre certezze, rompe lo specchio che ci mostra l’immagine riflessa della nostra identità.

Lui è tornato è un tagliente discorso provocatorio, che sbatte in faccia la falsità di un’umanità fatta di “gente”, la bestialità della psicologia della folla. Ci costringe a non poter scappare dal sentirci parte di un popolo, di una massa che è capace di accettare qualsiasi parola, qualsiasi terrificante discorso razzista, per poi indignarsi di fronte alla morte di un cucciolo di cane. Ci obbliga a confrontarci con la pochezza dei nostri ragionamenti, con lo squallore della nostra pavidità, con la pateticità dei nostri nuovi canali di comunicazione (meravigliosa la sequenza dei giovani vlogger e youtuber che commentano la situazione, come fossero araldi della banalità dei nuovi social).

Questo film è un’opera devastante, un esame di coscienza che forse non siamo in grado di sopportare; è il sorriso sulle labbra che si spegne quando ci vengono mostrate le bandiere dell’Unione Europea date alle fiamme e ci rendiamo conto che la paura dello straniero non è mai stata così concreta come oggi. Lui è tornato è il fissare il muro vuoto dopo aver terminato la visione, con la testa che ronza e i pensieri che si susseguono inarrestabili: il ritorno di Hitler non è l’ingranaggio che sblocca la macchina dell’odio, perché la macchina dell’odio è già avviata da tempo e con un contachilometri che continua a girare.

La sconvolgente solidità del film è dovuta al fatto che sia stracolmo di scene completamente improvvisate. Se da un lato non possiamo fare altro che godere del talento straordinario e incredibilmente comico di Oliver Masucci (il Führer del film), dall’altro rimaniamo congelati davanti alla spontaneità con cui la gente comune interagisce realmente con Hitler e approva le sue idee. Ogni scena, ogni discorso, ogni gesto, e tutto terribilmente vero, e, si sa, la verità fa male. Anche la fotografia con telecamera a mano, ci ricorda continuamente che quella che stiamo guardando è la realtà, è così ogni sorriso che ci viene inevitabilmente strappato porta con sé un vissuto di colpa,

Angosciante, brillante, acuto: un discorso maturo sul ruolo della memoria e della sdrammatizzazione dell’inaccettabile. Una nota di merito va alle citazioni geniali come La Caduta (2004) e l’uso del tema di Arancia Meccanica (1971) nel finale.

Davide “Duzzo” Fedeli

Voto: 8,5