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CENERENTOLA

Regia: Kenneth Branagh

Sceneggiatura: Aline Brosh Mc Kenna, Chris Weitz

Soggetto: Charles Perrault

Anno: 2015

Durata: 112’

Nazione: USA

Fotografia: Haris Zambarloukos

Montaggio: Martin Walsh

Scenografia: Dante Ferretti

Costumi: Sandy Powell

Colonna sonora: Patrick Doyle

Interpreti: Lily James, Richard Madden, Cate Blanchett, Helena Bonham Carter

TRAMA

Il sipario si apre sulla vita felice di una bellissima bambina di nome Ella, che all’improvviso perde la madre e resta sola con l’amato padre. Quando la ragazza sarà già cresciuta, il padre si risposerà con Lady Tramaine, donna tirannica e arrampicatrice, che si trasferirà in casa insieme alle sue due ottuse figlie. Durante un viaggio di lavoro il padre verrà a mancare ed Ella, rimasta ormai sola, si troverà ad affrontare la cattiveria della matrigna e delle sorellastre che la ribattezzeranno Cenerentola, costringendola da padrona  di casa quale era, a diventare la loro stessa sguattera. Disperata, tenta di fuggire  nella foresta dove incontrerà Kit, un giovane apprendista alla corte del re, che poi si scoprirà essere il principe. Incoraggiata da quest’ incontro Cenerentola decide di partecipare ad un ballo reale a cui potranno aderire tutti i sudditi del regno. Nonostante la matrigna le proibirà di presenziare, Ella, grazie all’aiuto magico di una singolare fata madrina, riuscirà come una principessa a danzare su scarpette di cristallo con il suo principe, ma attenzione “a mezzanotte a casa perché l’incantesimo svanirà!” Il  principe cosi  verrà lasciato solo in balia del suo sogno d’amore con una delle scarpette di cristallo di Ella, persa durante la fuga da palazzo. Lui cercherà la fanciulla per tutto il regno fino a quando, beh,  il finale lo sapete tutti…

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RECENSIONI

“Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”. Supponiamo, partendo da lontano, che sia stato questo noto aforisma di  Shakespeare a portare lo strashakespeariano Kenneth Branagh a voler dirigere la rivisitazione Disney del cult degli anni 50. Anche perché la pellicola, di influenze teatralmente shakespeariane, ne ha ben poche; questo risulta alquanto difficile da digerire, quando si assiste a  una Cenerentola cosi Disney diretta, invece, dal più affascinante degli Amleto.

La storia molto simile alla corrispondente versione animata,  anzi un quasi duplicato, se non fosse per topi veri e non parlanti, può deluderci da una parte o illuderci dall’altra. Ciò succede in considerazione del fatto che noi spettatori  siamo ormai abituati alle numerose fiabe stravolte degli ultimi anni, come il remake Maleficent o le liberamente ispirate trame delle non proprio  principesse della serie Once upon a time.

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Una cosa è certa: l’eccezionale  scelta del premio oscar Cate Blanchett col ruolo di matrigna, fa in modo che questa pellicola trovi il suo posto insieme a tutte le recenti altre, dove il villain sovrasta di gran lunga l’eroina e dove cattive Disney del calibro di  Angelina Jolie, Charlize Theron e Julia Roberts si impossessano totalmente dello schermo. Meravigliosa Cate Blanchett cosi come meravigliosa l’entrata in scena di Helena Bonham Carter, eccentrica fata madrina, che aiutata dalla magia e dal suo modo straordinario di impersonare ruoli sopra le righe, tinge di una straordinaria  stravaganza la pellicola, restituendo per un attimo al film l’incanto della fiaba originale. Seppur aggiungendo a tutti questi dettagli la fastosità delle scenografie del premio oscar Dante Ferretti, quest’opera cinematografica resta comunque un lavoro molto equilibrato e forse troppo prudente. Branagh è stato attento a non uscire dal confine stereotipato del fantastico,se non comunque, cautamente, nel finale. La ragazza , infatti, si presenterà davanti al principe, grazie al coraggio e alla gentilezza lasciatele in eredità dalla madre, coi suoi stracci, cosi come è, come donna e come Cenerentola. Il messaggio sembra essere questo: se mi ami devi prendermi  e accettarmi cosi come sono, perché nel mio mondo le principesse non esistono più. Malgrado questo atto di emancipata risolutezza, questa pellicola non riesce a rispecchiare l’universo femminile nella sua peculiare modernità, ovvero l’universo delle Cenerentole nella più intrigante delle favole, la vita.

Voto: 6,5

Sabrina Di Stefano


L’ultima versione cinematografica di Cenerentola mi ha deluso parecchio. Ingannata dalla presenza del grande Kenneth Branagh dietro la macchina da presa (insomma non uno a caso ma colui che prima di girare americanate come Thor e Iron Man 2 si dava ai drammi shakespeariani, bellissimo il suo Hamlet del 1996) pensavo che questa versione di Cenerentola fosse più matura e gotica (quasi con un tocco alla Tim Burton dei tempi d’oro, diciamo che la presenza della moglie, Helena Bonham Carter, non ha fatto altro che aumentare questa mia convinzione), invece mi sono ritrovata a vedere un filmetto Disney che nulla aggiunge all’incantevole favola animata del 1950.

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La storia è esattamente la versione edulcorata, già riportata al cinema decine di volte, della famosa fiaba popolare riscritta dai fratelli Grimm, quindi tutti i personaggi cattivi non sono cattivissimi e quelli buoni sono buonissimi. Mancano tutti gli aspetti più dark quasi horror della storia, che avrebbero reso decisamente più interessante questa nuova e inutile Cenerentola (ad esempio nella fiaba le sorellastre si tagliano una il ditone del piede e l’altra il calcagno per cercare di indossare le scarpetta di cristallo e, una volta che il Principe Azzurro sposa Cenerentola, due colombe cavano gli occhi alle due sorellastre invidiose). L’unico elemento aggiunto, capace di dare valore alla trasposizione cinematografica e a rendere più moderni e contemporanei i personaggi, sta nella loro maggiore sfaccettatura psicologica. Cenerentola non è relegata ad un ruolo passivo e non è una semplice fanciulla che sogna di incontrare il suo principe, ma arriverà a sposarlo solo dopo averlo conosciuto e voluto. Nella versione animata la relazione si sviluppa in una sola serata, nella favola il tempo di due balli mentre in quella di Kenneth Branagh Ella (Cinder-Ella) incontra il principe nel bosco e, ignorando la sua vera identità, ha tutto il tempo per innamorarsene prima del grande ricevimento a palazzo. Questo aspetto, seppur interessante, non riesce ad arricchire il film della giusta dose di maturità per poter piacere agli adulti e allo stesso tempo risulta incapace di coinvolgere i più piccoli.

Voto 6-

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VOTI

Sabrina Di Stefano: 6,5 

Cinefabis: 6-

VIZIO DI FORMA

Titolo originale: Inherent Vice

Regia: Paul Thomas Anderson

Soggetto: Thomas Pynchon

Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson

Anno: 2014

Durata: 148’

Nazione: USa

Fotografia: Robert Elswit

Montaggio: Melanie Oliver, Leslie Jones

Scenografia: David Crank

Interpreti: Joaquin Phoenix, Josh Brolin, Owen Wilson, Katherine Waterstone, Reese Whiterspoon, Benicio Del Toro, Jena Malone, Maya Rudolph, Martin Short

TRAMA

In una vivace Los Angeles anni 70, DOC, eccentrico investigatore tossicomane (Joaquin Phoenix), riceve un’inaspettata visita dalla sua ex Shasta che gli chiede aiuto. L’affascinante ragazza vuole evitare che il miliardario con cui intrattiene una relazione, venga fatto internare dalla moglie e dall’amante di quest’ultima. DOC accettando l’incarico sarà catapultato in una surreale realtà che avrà come suoi protagonisti  personaggi alquanto strampalati. Esponenti della giustizia americana, guardie del corpo naziste, hippies, prostitute orientali, tossici ecc. ecc insieme in un mash-up originale che sconfina nell’assurdo tragicomico.

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RECENSIONE

Prima di interrogarci su qualsiasi cosa assomigli all’arcano messaggio di una sceneggiatura caotica, o di un titolo che in italiano, forse,  è un po’ troppo “lost in translation”, dobbiamo fissare nella nostra mente che “Vizio di forma” nasce dal romanzo di Pynchon e cresce nell’adattamento di Paul Thomas Anderson. L’importante quindi è non farsi sopraffare dalla complessità di seguire un plot dove il collegamento tra le scene è praticamente inesistente, ma godere dell’ “art pour l’art”, senza doverne scovare per forza un senso. Ci si trova  allora  certamente  di fronte ad un’ottima fotografia, all’abilità di un cast di primordine, alla pertinenza della colonna sonora, al suono piacevole di nostalgici e coloratissimi telefoni vintage e a divertenti travestimenti avventurosi. Il grottesco ottenuto  attraverso lo sguardo, i sandali e la camminata di Joaquin Phoenix, ci suggerisce quanto l’attore con i suoi occhi verdi cosi come in “Her”, ma con più occhiaie di certo, sia  in grado di essere il centro dell’instancabile obbiettivo per tutta la durata del film.

Cosi guidati dal voice over dei pensieri strafatti del protagonista, ci si addentra in nebbie fittissime,  dove la  droga diventa regina indiscussa  e l’allucinazione si propone come dimensione legittima ma non assoluta, in un “Paura e delirio a Las Vegas” decisamente moderato.

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La trasposizione complicata di una scrittura labirintica come quella di Pynchon diventa problematica quando il tempo del viaggio al limite del visionario si allunga eccessivamente e l’impossibile trama non riesce a travolgere più di una noia che è purtroppo  in agguato. “Vizio di forma”, infatti, a mio parere, pur nella sua originalità, si dilunga eccessivamente rischiando che lo spettatore da coinvolto diventi esausto. Questo è uno di quei film a cui non riesci a dare una categoria o un giudizio, una di quelle opere che può solo piacerti o non piacerti: ma in ogni caso non si riuscirà a raccontare una sola scena appena usciti dalla sala.

Voto 6.5

Sabrina Di Stefano

SI ALZA IL VENTO

Titolo originale: Kaze Tachinu

Regia: Hayao Miyazaki

Sceneggiatura: Hayao Miyazaki

Anno: 2013

Durata: 126′

Nazione: Giappone

Montaggio: Takeshi Seyama

Colonna sonora: Joe Hisaishi

“Vola solo chi osa farlo” (Sepulveda)

Quanto è assillante questa metafora per gli intellettuali di tutti i tempi, quale prepotente brama di riscatto dal disagio della vita terrena li spinge a cercare nel volo la liberazione ultima?

Il folle volo di Ulisse è il gesto di tutti coloro che hanno voluto oltrepassare il confine e andare lì, dove la realtà non basta a placare quel senso di avvilimento che caratterizza l’anima di un sognatore; ci si deve spingere oltre, in un luogo dove sia possibile far volare un aereo con un dito, un luogo allo stesso tempo dentro di noi e fuori di noi, nelle colonne d’Ercole della nostra immaginazione. Miyazaki rende esplicito fin dalla prima scena di cosa parlerà la sua opera e, nella dimensione onirica della storia, fa rivivere personaggi realmente esistiti. Così facendo, nella sua ultima fatica registica, proietta sul protagonista la propria passione per il disegno e pone finalmente in scena il racconto di eterno bambino sognatore che ha impiegato “dieci anni” per realizzare un progetto e che vuole fermarsi lasciando nel cuore delle persone un faticoso messaggio: sperare.

In un Giappone impressionista e popolato come un quadro di Brueghel, cresce Jirou Horikoshi, rimasto negli annali per aver progettato il caccia giapponese Mitsubishi A6M Zero, per lungo tempo considerato il miglior aereo da combattimento, prima utilizzato per l’attacco a sorpresa a Pearl Harbor e in seguito utilizzato dai giovani piloti kamikaze per i loro voli suicidi contro la flotta americana. Ma il messaggio politico non è quello di esaltare una macchina di morte ma quello di esaltare il genio creativo di qualcuno che a causa di una “miopia” carica di connotazioni simboliche, non può volare ma può solo progettare. “Il viaggio di inverno” di Shubert che si ode da quella finestra aperta sulle buie strade tedesche, è quello di Jirou, è quello dell’eroe romantico che cerca il senso della vita abitando un mondo tutto dentro di sé.

La ricerca tecnica e storica di Miyazaki è estenuante, ogni dettaglio è maniacale. La trasposizione del reale però viene mitigata dal dialogo onirico con l’ingegnere Caproni che risulta essere esilarante, soprattutto per il simpatico stereotipo, in cui il Maestro , innamorato dell’Italia inquadra il nostro famoso progettista. Caproni da buon italiano è allegro, attaccato alla famiglia e al” buon vino”.Questa descrizione è supportata dal geniale Hisahishi che contamina di mandolino una meravigliosa colonna sonora.

In questa sottile atmosfera di dormiveglia, dove il terremoto e la guerra hanno il suono di un luttuoso lamento, “le vent se leve il faut tenter de vivre” e aereoplani di carta e pastelli fanno da sfondo al tenero amore di Jirou e Naoko, amore che spezza il ritmo minuzioso della trama e lo profuma di leggerezza e di quella bellezza e perfezione che caratterizza l’opera d’arte giapponese. Ma quando si alza il vento, la facilità che fa volare un cappello galeotto dalla tua testa è la stessa con cui la vita ti porta via le persone che ami, cosi la malattia porta via Naoko che scompare invitando jirou, che cammina tra le macerie del proprio talento diventato arma di distru.zione, a vivere.

Le opere di Miyazaki ti lasciano sempre qualcosa nel cuore, essere rapiti dall’essenziale semplicità dei sentimenti di cui è composta la vita è sempre calorosamente disarmante. Qualcuno dirà che non c’è la solita magia del maestro in Si alza il Vento, ma dopo il viaggio ghibli questa meta finale non ha bisogno di troppe invenzioni per splendere. Quindi grazie Miyazaki per questa pellicola e per le altre, grazie di aver dato a noi adulti la possibilità di sentirci bambini e grazie per non averci lasciato soli in questa meravigliosa e malinconica via di fuga che è quella dell’immaginazione.

Voto: 9

Sabrina di Stefano