Regia: Frank Pavich
Soggetto: Frank Pavich
Sceneggiatura: Frank Pavich
Anno: 2013
Durata: 90’
Nazione: USA, Francia
Fotografia: David Cavallo
Montaggio: Paul Docherty, Alex Ricciardi
Musiche: Kurt Stenzel
Interpreti: Alejandro Jodorowsy, Michel Seydoux, H.R. Giger, Chris Foss, Nicholas Winding Refn, Amanda Lear, Richard Stanley
RECENSIONE
Nel 1975, il regista cileno Alejandro Jodorowsky viene scelto per dirigere il film tratto da uno dei capisaldi della fantascienza mondiale, ovvero Dune, il romanzo di Frank Herbert del 1965. Il visionario regista inizia così una delle più interessanti e coinvolgenti ricerche di collaboratori che si sia mai vista. Mick Jagger, Salvador Dalì, Orson Welles, Gloria Swanson e David Carradine tra gli attori; Pink Floyd per le musiche; H. R. Giger, Chris Foss e Moebius per le scenografie, il character design e lo storyboard; Dan O’Bannon per gli effetti speciali. Un vero e proprio cast stellare al servizio di quello che doveva essere il più importante e controverso film di fantascienza di tutti i tempi, ma che invece è sempre e solo rimasto un grande script su carta per colpa della fredda accoglienza da parte di Hollywood che non concesse il finanziamento necessario per la sua realizzazione.
Presentato al Festival di Cannes del 2013, Jodorowsky’s Dune è un avvincente documentario che accompagna lo spettatore nel magico mondo di quello che sarebbe potuto essere il più grande film di fantascienza di sempre (o almeno degli anni ’70). A scandire il magico ritmo è lo stesso Jodorowsky che racconta le vicende e le vicissitudini della preparazione del film alternando il suo grottesco inglese al nativo spagnolo, in una sorta di piccolo e simpatico turbine poliglotta dall’appeal irresistibile. Frank Pavich dirige un viaggio esplorativo che cresce d’intensità lungo tutta la sua durata, alla scoperta di progetti di astronavi, di storyboard ultra dettagliati – che Syd Garon ha animato con risultati suggestivi –, di costumi provocatori, di illustrazioni mozzafiato (Giger su tutti) e aneddoti riguardanti gli interpreti (il “corteggiamento” di Jodorowsky a Orson Welles, quest’ultimo convinto a partecipare al film grazie alla promessa di avere uno chef stellato sul set che gli preparasse da mangiare; e i capricci di Dalì che voleva essere pagato centomila dollari al minuto). Un turbine di meraviglie e di aspettative grandiose che purtroppo finisce con lo scaturire nello spettatore un senso di spaesamento e di entusiasmi stroncati ogni volta sul nascere, a causa dell’onnipresente conclusione che aleggia senza pietà nell’aria: questo film non è mai esistito, se non nella testa del suo carismatico regista – sensazione che in ogni caso è in perfetta armonia con il rimpianto rabbioso che trasuda dalle parole di Jodorowsky, soprattutto al termine del film, quando si scaglia contro la vigliacca miopia di Hollywood. Cosa è rimasto, dunque, di questa eterna promessa? Innanzitutto un gigantesco volume cartaceo con tutti gli storyboard, i disegni, i dati tecnici di funzionamento dei robot e delle astronavi, ma anche una sequela di geniali e innovative soluzioni formali e linguistiche, specchio inequivocabile del genio del regista cileno. Un volume che, a detta di Jodorowsy, tutti gli studios conserverebbero nei loro archivi e dal quale pare abbiano ampiamente attinto per realizzare molti dei film fantascientifici degli anni a venire (non sfugge nessuno: da Star Wars a Terminator, non c’è n’è uno che non abbia in sé anche solo una particella di Dune). Il colpo di grazia arriva però alla fine (si sa, la vendetta è un piatto che va servito freddo), quando il viso di Jodorowsy si distende in un sorriso liberatorio, mentre racconta la sua sofferente visione al cinema del Dune di David Lynch: dapprima affranto, il regista cileno non può che gioire per quanto il film del suo collega fosse orrendo – forse il suo peggiore in assoluto – tanto da esser chiaro alla prima visione che non sarebbe stato altro che un fallimento, un drammatico flop. Un finale dolceamaro che sicuramente non consola e non giova a nessuno e in cui tutti risultano sconfitti.
Il documentario di Pavich è un buon lavoro, che coinvolge lentamente e progressivamente lo spettatore alla maniera di un diesel. Ma che purtroppo ha al suo interno tutte le insopportabili ingenuità che i documentari made in USA si portano dietro, come l’eccessiva enfasi con la quale gli intervistati commentano ogni particolare della vicenda (dalla semplice trama del libro di Herbert, alla descrizione della carriera di Jodorowsy fino a quel momento) e la necessità primaria di comunicare allo spettatore quale grande magnificenza sta apprestandosi a vedere (una delle prime affermazioni, proprio all’inizio del documentario, è quella “misurata” di Nicolas Winding Refn il quale, con uno sguardo ipnotico da dietro i suoi occhiali, dopo aver raccontato di come Jodorowsy gli raccontò il suo Dune sfogliando insieme a lui lo script, a un certo punto esclama: «Quindi in un certo senso sono l’unica persona che abbia mai visto Dune di Jodorowsy. Sono l’unico spettatore che ha visto il film. E vi dirò una cosa: è meraviglioso»).
Il documentario finisce quindi con il costruire non la storia di un film mai realizzato, ma quella di un vero e proprio mito cinematografico, una sorta di spirito immanente grazie al quale tutti i film di fantascienza del Ventesimo Secolo hanno potuto essere realizzati con successo, proprio perché pregni della genialità del regista più visionario in circolazione in quel periodo. Possibile? Forse sì. Esagerato? Altrettanto probabile.
Voto: 6,5
Giorgio Mazzola