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I 10 FILM PIU’ DISTURBANTI (ABOUT SEX)

1 Salò o le 120 giornate di Sodoma (Salò, or the 120 Days of Sodom) – Pier Paolo Pasolini, 1975

Pellicola che contiene alcune tra le perversioni più insane dell’animo umano mai viste in un film. Pasolini si rifà alle 120 Giornate di Sodoma di de Sade, da cui il titolo prende spunto; ma il contesto qui è un altro, il fascismo e la Repubblica di Salò. Al contrario di de Sade, dove le oscenità descritte sembrano essere fini a se stesse, Pasolini vuole dare allo spettatore una sorta di morale. Salò è prima di tutto un film contro ogni tipo di violenza e tortura nei confronti di ogni essere umano.

2 La vera gola profonda/Gola profonda (Deep Throat) – Gerard Damiano, 1972
Rientra in questa classifica nonostante sia a tutti gli effetti un film pornografico, in quanto ha stravolto completamente la concezione del porno. Per la prima volta un film a luci rosse, che fino ad allora erano considerati di nicchia – in quanto film da “depravati” – è stato visto da milioni di persone in tutto il mondo. 25000 dollari di spesa per un incasso pari a 100 milioni, una cosa mai vista nella storia del cinema. Il film ha una trama, cosa assai rara nel porno odierno, che tratta uno dei tabù del sesso, l’orgasmo femminile, e la sua impossibile rappresentazione a livello visivo. La pornografia può essere suddivisa in un prima e un dopo Gola profonda.

3 Antichrist – Lars von Trier, 2009
La follia che segue la morte di un figlio assume tratti disumani in questa pellicola. Il capolavoro di Lars von Trier.

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4 Ecco l’impero dei sensi (In the Realm of the Senses) – Nagisa Oshima, 1976
Film ispirato ad una storia realmente accaduta nel Giappone degli anni ’30.  Fece parecchio scandalo, per la presenza di scene di sesso esplicito non simulato e un finale shock. Il film fu disponibile in home video solamente a partire dagli anni ’90.

5 Irréversible – Gaspar Noé, 2002
La tecnica di Gaspar Noè è molto sperimentale, i suoi film possono piacere o meno ma riescono sempre a lasciare il segno. Il montaggio è disturbante, nauseabondo. Lo stupro di Irréversible e l’orrore con cui viene perpetrato rimarranno per sempre negli occhi dello spettatore.

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6 Nymphomaniac Director’s cut – Lars von Trier, 2014
Questa versione non è quella uscita nei cinema, ma la successiva che vede la luce in un secondo momento. Con ben 90 minuti di scene tagliate questo film è decisamente più completo rispetto al precedente. Tuttavia manca qualcosa alla pellicola…

7 Ultimo tango a Parigi (Last Tango in Paris) – Bernardo Bertolucci, 1972
Marlon Brando e la celebre sequenza del burro valgono di per sé la visione di questo film. Era il 1972 e per la morale dell’epoca fu oltraggioso; sequestrato per “esasperato pansessualismo fine a se stesso”.

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8 Caligola (Caligula) – Tinto Brass, Bob Guccione (non accreditato), Giancarlo Lui (non accreditato)
Produzione infinita, piena di controversie, dalla quale usciranno molteplici versioni, tra scene di porno esplicito aggiunte e altre tagliate. Un Malcolm Mcdowell superlativo: il suo sguardo delirante e le sue danze stravaganti sono memorabili.

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9 La pianista (The Piano Teacher) – Michael Haneke, 2001
Nonostante le allusioni sadomaso e alcuni fotogrammi molto crudi, il film ricevette numerosi premi, in particolar modo al Festival di Cannes, dove trionfò. Isabelle Huppert e la trasformazione del suo personaggio offrono allo spettatore colpi di scena (e perversioni) inaspettate.

10 Eyes Wide Shut – Stanley Kubrick, 1999
Ultimo film di uno dei più grandi registi della storia del cinema. Uscirà postumo alla morte di Kubrick, il quale non partecipò al montaggio. Per questo motivo da alcuni è considerato incompleto, ma riesce tuttavia a risultare, a tratti, raffinato e sublime. Le orge in maschera in stile “Eyes Wide Shut” sono diventate un marchio di fabbrica e sono tutt’ora fonte di ispirazione in giro per il mondo.

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Fuori lista

A Serbian Film – Srđan Spasojević, 2010
Non merita di essere nella classifica in quanto la violenza ingiustificata di questo film supera ogni limite, dove «si confonde la trasgressione con la morbosità più gratuita e atroce». La visione di questa pellicola ha suscitato in me un disgusto e un malessere che mai avevo provato in precedenza; pertanto non solo non ne consiglio a nessuno la visione ma – per la prima volta dico una cosa del genere riguardo un film – lo censurerei. Peccato perché l’idea era originale. Lo so, tutto ciò vi farà venire una voglia spropositata di vedere A Serbian Film. (Se lo farete) Sappiatelo, io vi avevo avvisati.

Lucciola della ribalta

CALIGOLA

Regia: Tinto Brass, Bob Guccione (non accreditato), Giancarlo Lui (non accreditato)

Sceneggiatura: Gore Vidal, Bob Guccione, Giancarlo Lui

Anno: 1979

Durata: 154′

Nazione: Italia, USA

Fotografia: Silvano Ippoliti

Montaggio: Nino Baragli

Scenografia: Danilo Donati

Costumi: Danilo Donati

Colonna sonora: Paul Clemente

Interpreti: Malcolm McDowell, Teresa Ann Savoy, Hellen Mirren

TRAMA

Il regno dell’imperatore romano Gaio Cesare Germanico, detto Caligola. Decisamente poco storico, molto pornografico!

RECENSIONE

“Attraverso Caligola, per la prima volta nella storia, la poesia provoca l’azione e il sogno la realizza. Lui fa ciò che sogna di fare. Lui trasforma la sua filosofia in cadaveri. Voi dite che è un anarchico. Lui crede di essere un artista. […] Finché Caligola è vivo, io sono alla completa mercé del caso e dell’assurdo, cioè della poesia.” (Albert Camus, Caligola, 1941)

Nonostante la produzione risalga a fine anni settanta e l’ambientazione al 40 d.C, Caligola si presenta come un film atemporale, universale, profetico e perciò sempre attuale. Dal ritratto truce della corte romana dai costumi dissoluti e sfrenati, appare l’esasperata caricatura del potere. Una satira politica ante tempore, dove la fame di dominio e il conseguente delirio di onnipotenza sono brutalmente, ma efficacemente, rappresentati. La brama di assoluto diventa presto, una volta raggiunto, un bisogno insaziabile, un’esigenza. Caligola si presenta inizialmente come un giovanotto, sì un po’ bizzarro, eccentrico, ma tutto sommato innocuo, con il solo vizio di amare – e non soltanto “spiritualmente”– la bella sorella Drusilla. Ma una volta al vertice, iniziano i guai.

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È pura follia quella che balena negli occhi del protagonista, Malcom Mc Dowell, lo stesso lampo di delirio che ci accompagna in Arancia meccanica, sintomo della crescente ebrezza del potere assoluto. L’ascesa di Caligola diventa presto un’infinita discesa: più sale in alto e ottiene potere, più tende verso il basso, in preda a una cieca cupidigia dell’abietto. È affamato di sesso, di sangue e insieme ossessionato dalla morte, presenza fantasma che aleggia per tutto il film. La paura è compagna fedele dell’imperatore, che egli cerca di esorcizzare in ogni modo, con buffe danze apotropaiche, orge e rappresentazioni teatrali, senza però riuscire a sfuggirvi.

Tutto il regno di Caligola diventa una farsa, in stampo Satyricon-felliniano – non a caso lo scenografo è il medesimo, Danilo Donati – un incubo beffardo di cui egli è l’autore e il protagonista e gli altri sono solo personaggi-funzioni, apparenze demoniache. Caligola vuole essere un dio e decide di costruirsi il proprio Olimpo, un Olimpo infernale in cui le uniche leggi sono eccesso e amoralità. Nella sua ascesa-discesa verso gli Inferi il re coinvolge tutti i personaggi e lo spettatore. Tra le tante vittime innocenti, uccise per il puro brivido di onnipotenza, egli manderà a morte l’amico più fidato, Macro, e poi Gemello, fanciullo puro e innocente, per la sola colpa di non avere colpa.

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I suoi stravizi sessuali cresceranno in linea con la parabola della sua follia e potere. Incestuoso, non potendo sposare la sorella Drusilla, si accoppia con «la donna più dissoluta di Roma», Cesonia, amante della lussuria e della sfrenatezza. Ma l’unione matrimoniale diventa presto un menage a troi e Caligola “condiviso” tra le due donne.
Il culmine verrà raggiunto in quell’orgia immensa, «distruzione dell’urbe», dove il palcoscenico teatrale si trasforma in un set a luci rosse, che riassume le più fantasiose categorie in voga nella pornografia contemporanea (dalla fellatio e cunnilingus a rapporti lesbo e pratiche BDSM).

Nota: Questa recensione fa riferimento alla versione integrale (154 minuti) di Caligola di Tinto Brass (1979), successivamente rielaborata da Bob Guccione e Giancarlo Lui, con l’aggiunta di scene pornografiche ad hoc. Sono state prodotte varie versioni del film, tra cui Io, Caligola, realizzata nel 1984 da Rossellini, contenete materiale inedito.

Voto: 8,5

Lucciola della Ribalta

CINQUANTA SFUMATURE DI GRIGIO

Titolo originale: Fifty Shades of Grey

Regia: Sam Taylor-Johnson

Sceneggiatura: Kelly Marcel, Patrick Marber, Mark Bombach

Anno: 2015

Durata: 125′

Nazione: USA

Fotografia: Seamus McGarvey

Montaggio: Susan Littenberg, Sabrina Plisco

Scenografia: David Wasco

Costumi: Mark Bridges

Colonna sonora: Danny Elfman

Interpreti: Dakota Johnson, Jamie Dornan, Jennifer Ehle

 TRAMA

La storia d’amore tra Anastasia Steele, giovane studentessa e Christian Grey, uomo d’affari, bello e affascinante. Ma l’ingenua Anastasia presto scoprirà che il giovane misterioso nasconde segreti inconfessabili.

RECENSIONE

Cinquanta sfumature di grigio… torpore, aggiungeremmo. Grigio è infatti il colore che meglio rappresenta il primo episodio tratto dalla trilogia della scrittrice inglese E. L. James. La trama, che già dai trailer “esclusivi” si preannunciava scontata, è appunto inconsistente. L’ incontro tra i due protagonisti è immediato, avviene dopo soli tre minuti dall’inizio della pellicola; e da subito si capisce che sarà amore. I dialoghi adolescenziali, patetici, ricordano le meno (più?) riuscite love story americane degli ultimi decenni e sono esasperati da alcune esclamazioni del protagonista – il bel milionario Christian Grey, l’uomo che “esercita il controllo su ogni cosa” – che proprio non funzionano e si trasformano, senza volerlo, in battutacce da bar sport (“Io non faccio l’amore. Io scopo. Forte”). Con tutto rispetto per i bar sport.

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Tuttavia, cercando di trovare un briciolo di originalità, qualcosina di nuovo c’è. Qualcosa di mai visto fino a ora (o quasi). Sto parlando dell’introduzione, seppur minima (qualche frustata qua e là), a pratiche BDSM in un film blockbuster. Né Nymphomaniac, né Secretary o Légami!, per citarne di famosi, avevano queste proporzioni, in termini di budget o incasso al box office. Non si erano mai usati termini tecnici come “fisting”, “safe words” o “dilatatori anali; ed era ora, nell’epoca del porno home made e del boom di portali come kink.com. Non che il sesso debba necessariamente comprendere bondage o sadomaso, ma nemmeno considerarli un male assoluto, qualcosa da nascondere o di cui vergognarsi.

Già in passato varie serie televisive americane hanno avuto il merito di sdoganare tabù sessuali; si pensi al successo di Sex and The CityWill & Grace o Friends, quando l’omosessualità venne resa “normalità” nel ’96, mandando in onda il matrimonio tra Carol e Susan davanti a 31 milioni di americani. Forse è arrivato il turno del BDSM, anche se in Cinquanta sfumature viene affrontato con eccessivo machismo e romanticismo. Il ricco, freddo e potente seduttore che umilia lei, giovane, indifesa e innamorata. Non ci siamo. Per il prossimo capitolo, sempre se uscirà, datevi da fare.

Voto: 5

Lucciola della Ribalta


COMMENTO

La Prima volta

Ieri sera siamo andate a vedere Cinquanta sfumature di grigio. In anteprima mondiale, just to say. Nata come una fan fiction spinta ispirata a “Twilight”, non è altro che una fiaba per adulti. Che poi il libro sia scritto come è scritto aggiunge soltanto un merito al genio dell’autrice, E.L. James. Cioè, vi rendete conto? Questa si è messa lì e ha buttato giù probabilmente in meno di qualche mese, non uno, bensì tre libri. Parlando di quello che le pareva, nel modo in cui le andava di farlo (male). E ha fatto i miliardi. Rifletteteci.

Scriverò questa frase con la consapevolezza di poter essere presa a pesci in faccia, ma forse non hanno torto i fan. Sapete perché? Perché in casa di mia nonna ci sono scatoloni degli Harmony da cui nessuno ha maitratto un film. Da piccola ne ho letti un paio, perché si legge tutto e perché mi serviva capire come funzionano certe cose. Ma semplicemente il contenuto di quei volumetti rosa era molto più pudico di quanto facesse presagire, e sperare, l’immagine stampata in copertina sullo stile della “Domenica del corriere”.

Da quando sono tornata dal cinema ieri notte, non faccio che domandarmi: cosa vorrebbero trovare i lettori nella mia recensione? Il punto è che non sapevo se parlarvi del film. Intendo dire del film in sé. Mi sono immaginata cosa avrebbero scritto gli altri giornalisti italiani, quelli veri. Copia-incolla dei servizi usciti all’epoca della pubblicazione dei libri, con la malizia aggiunta delle immagini, ci saranno quattro tipi di pezzi.

1) La critica bigotta: la maggioranza, non soltanto sulle pagine del bollettino parrocchiale, probabilmente descriverà “Cinquanta sfumature di grigio” come un film all’insegna della lussuria e del peccato dove non si fa l’amore ma, ahimè, si scopa (cit. Christian Grey).

2) La critica progressista: le femministe e quei depravati che praticano il bondage ogni sabato sera, insomma. Bene, mi è sembrato di capire che loro siano incazzati neri perché Ana e Christian fanno fare una figura di merda a tutti. Come se fosse indispensabile aver subito abusi da giovani per avere un interesse verso corde e frustini, le sole cose capaci di soddisfare i gusti perversi delle menti disturbate. E poi c’è questa figura della donna sottomessa e controllata, ma consenziente perché innamorata, che ovviamente sbatte alla velocità della luce contro parole come stalking e abuso. Come dargli torto.

3) Quelli che non hanno letto il libro: e ancora si stupiscono di vedere una cagata. Loro volevano una roba molto più spinta, uscire dalla sala con la bava alla bocca. Non hanno capito che il punto, e il segreto del successo, non sono le perversioni sessuali del protagonista, ma inequivocabilmente la love story. Poi tutto il resto sono chiacchiere, uno sfogo per casalinghe mature e una miniera d’oro per la cara E.L. James.

4) Le riviste femminili: come dicevo, è una fiaba per adulti o meglio per adulte. Entusiaste per il romanzo che ha finalmente aggiunto quel-non-so-che alla loro vita matrimoniale, le lettrici non-femministe aspettavano soltanto di dare un volto e un corpo alle loro fantasie. E allora ecco gli speciali che, se avessimo il buon cuore di leggerli, ci insegnerebbero tutto quello che serve per intrattenere una sana vita di coppia sotto le lenzuola: da dove comprare i bustini di pelle, a come gestire un “uomo difficile”. Se non li leggete, poi non lamentatevi.

Da domani l’Internet sarà sommerso da tutte queste pallosissime dissertazioni. Di cos’altro avrei potuto scrivere? Poi a me è pure piaciuto. Mi sono piaciuti la fotografia, l’uso intelligente dei colori e Dakota Mayi Johnson che è bravissima nella parte di Anastasia. Ho riso. Mi sono anche addolorata per Jamie Dornan, condannato al carattere del suo personaggio e, cosa più grave, alle sue battute. Sono soddisfatta perché la regista, Sam Taylor-Wood, ha fatto un buon lavoro. Ha superato le mie aspettative, non mi sento offesa come donna e se vorrò scandalizzarmi mi guarderò un documentario. Ma era chiaro che scrivere una recensione positiva poteva farmi perdere la dignità. Partendo dal presupposto che il film lo andrete a vedere tutti (o lo guarderete in streaming, è inutile nasconderlo), ho convenuto che la descrizione della serata fosse l’unica cosa che nessun altro potesse mettervi a disposizione.

Partiamo dal perché. L’anno scorso per un po’ abbiamo convissuto in tre in una casa di troppi pochi metri quadri e senza internet. A un certo punto, una si alza e propone: “Facciamo un ciclo di letture serali!”. Era una buona idea, da Settecento illuminato. Ma presto abbiamo perso il senso della misura perché qualcun altro deve aver detto una frase come: “Sì, ma niente di serio”. Non farò nomi, potrei essere stata io. L’abbiamo finita che una delle tre è tornata dall’aeroporto con “Cinquanta sfumature di grigio”. Lo abbiamo letto come in “Piccole donne”: alla luce fioca del mio lampadario che funziona male, la proprietaria-oratrice seduta su una sedia a dondolo e le altre due intorno ipnotizzate dall’accento sardo. Non potevamo perderci la versione cinematografica.

Così siamo andate alla première mondiale. L’ho già detto, ma di tirarsela non si finisce mai. Alla Berlinale, nello Zoo Palast. Che già è una location tamarra. Tende dorate, per la programmazione normale lasciano cadere una cascata di acqua vera davanti allo schermo prima della proiezione. Così, a buffo. Solo che ottenere un biglietto per il film è stata un’impresa incredibile. Una roba da Amaro Montenegro. Avevamo rinunciato alle prevendite online, uscite domenica mattina e scomparse in un batter d’occhi. Non restava che mettersi in coda. Come le fan più sfegatate, sprezzante del pericolo, di fronte al volto enigmatico di una cassiera poco convinta sulla disponibilità di altri biglietti, la mia amica non ha fatto una piega. Ha preso pretzel e bevande e ha aspettato. Aspettato. Aspettato. Aspettato. Qualcuno in coda con lei confidava, ne era quasi certo, nella riuscita della missione. Sembrava che si stesse mettendo male, perché in bagno non c’era ancora andata, quando all’improvviso la provvidenza ha fatto il suo. Sì c’erano ancora posti liberi: Obama non sarebbe venuto.

Ora, io non sono mai stata a una prima, né all’uscita dell’Iphone 6, né a un concerto degli One Direction. L’affollamento davanti al cinema già mi ha inquietata ed emozionata allo stesso tempo. Avrei voluto parlare con tutti per capire i motivi di tanto fanatismo, fare foto migliori di quelle che ho fatto, farmi un selfie con gli attori e ottenere autografi sulla maglietta. Ma mi hanno detto di entrare “che c’è già abbastanza casino” e sono entrata. Nella mezz’ora di ritardo con cui hanno fatto iniziare il film, osservare la fauna sugli spalti e fare foto allo schermo per vedere quello che avremmo visto se fossimo rimaste fuori come il resto del mondo sono stati i nostri passatempi. Le ultra-cinquantenni la facevano da padrone tra la folla, punteggiata da rare ventenni in lacrime di giubilo. Quello che ci ha stupito più di tutto, e che forse avrebbe dovuto stupirci di meno, era l’abbigliamento dei presenti. La loro eleganza era direttamente proporzionale alla loro affezione ai personaggi della storia, credo. Per esempio si sono visti uno con piume di pavone sulla spalla e una tizia vestita sobriamente di  pezzi del firmamento. Non è che non sappia come ci si veste a una prima mondiale (per ribadire, no?), ma l’eleganza a Berlino è un vezzo per pazzi.

Infatti i veri berlinesi si riconoscevano per il loro degrado e il loro tasso alcolico, come quello dell’uomo seduto di fronte a noi. Quest’uomo, di cui purtroppo non ci è stato comunicato il nome, si reggeva a fatica ma sapeva far conversazione. Sfoderando un italiano insensato, ci ha raccontato di come a Venezia se ne sarebbe andato in giro interpretando Papa-Grappa (personaggio di sua invenzione) e facendo scompisciare, a detta sua, dalle risate l’intera città. Sebbene non fosse Carnevale. Comunque poi abbiamo dedotto che fosse un progressista, o un femminista, o un bigotto, o uno che non ha letto il libro e voleva un porno, perché durante il film si è alzato e se n’è andato mollandoci lì così.

Potrei parlarvi della coppia serissima seduta accanto a me, ma non c’è nulla da dire. A parte il fatto che questo film o lo prendi sul ridere o ti pagano per andarlo a vedere o sei un fan. E quindi non ho capito cosa volessero dimostrare con le loro facce. Notevoli sono stati altri compagni di avventura: come la donna matura e sola che, venuta apposta da Strasburgo, ha abbracciato la mia amica come se fosse un dio quando le ha fatto ottenere l’ultimo biglietto tenendole il posto. Oppure il cinese vicino a noi che, inspiegabilmente, si è addormentato fra una botta e l’altra. Succede anche ai migliori.

Emi Barbiroglio