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KIDS

Regia: Larry Clark

Sceneggiatura: Harmony Korine

Anno: 1995

Durata: 88’

Nazione: USA

Fotografia: Eric Alan Edwards

Montaggio: Christopher Tellefsen

Scenografia:

Costumi:

Colonna sonora: John Davis, Randall Poster, Lou Barlow

Interpreti: Sajan Bhagat, Adriane Brown, Christian Brums, Joseph Chan, Rosario Dawson

TRAMA

Il film segue per 24 ore un gruppo di ragazzi negli anni ’90 e ne immortala il degrado. Fanno parte della brigata: una giovane sieropositiva alla ricerca disperata di chi le ha trasmesso il virus e un ragazzino che si diletta in opere di sverginamento. Tra abusi fisici e mentali si conclude la giornata sconcertante di questi adolescenti.

RECENSIONE

Larry Clark è qui alla sua opera prima. Già noto come fotografo, nel 1995 si approccia al suo lungometraggio con lo stesso metodo con cui si approccia alle immagini, ovvero senza dare giudizi. L’occhio della cinepresa mostra vite caotiche e scombinate. Manca però, la presunzione di trasmettere una morale. I temi proposti sono scioccanti e controversi.

Kids

Il film vede la luce grazie a personalità note nella scena indipendente. È scritto infatti, insieme ad Harmony Korine, di cui Larry Clark si servirà anche per la sceneggiatura di Ken Park e prodotto da Gus Van Sant, regista che non ha bisogno d’introduzioni. Troviamo addirittura al suo esordio una giovane Chloë Sevigny, che diventerà una delle reginette di questo genere di cinema.

Presentata in concorso al 48° Festival di Cannes, la pellicola impone allo spettatore di non scandalizzarsi e restare a guardare adolescenti completamente abbandonati a loro stessi, incapaci di trovare un punto d’incontro con gli adulti, che dal canto loro sono totalmente assenti dalla vita dei ragazzi. Risulta difficile amare questo film al primo sguardo, il linguaggio è davvero pesante, le riprese volutamente aspre e complicato è entrare in empatia con i protagonisti. A un secondo sguardo ci accorgiamo, però, di quanto sia terribile e doloroso il mondo che ci viene mostrato. Allora non proviamo pietà, semmai smarrimento di fronte ad una realtà che sembra lontana, ma che non lo è poi così tanto.

Voto: 7

Lisa Fornaciari

LAST DAYS

Regia: Gus Van Sant

Sceneggiatura:Gus Van Sant

Anno: 2005

Durata: 85’

Nazione: USA

Fotografia: Harris Savides

Montaggio: Gus Van Sant

Scenografia: Tim Grimes

Costumi: Michelle Matland

Colonna sonora: Thurston Moore, Michael Pitt

Interpreti: Michael Pitt, Lukas Haas, Asia Argento, Scott Green, Nicole Vicius

TRAMA

Il film narra di un personaggio molto simile a Kurt Cobain, leader del famoso gruppo grunge dei Nirvana. Le immagini s’incentrano sul disagio del protagonista, mostrandolo logorarsi ed avanzare nella vita senza spirito e vitalità.

RECENSIONE

Last Days, con le due opere precedenti di Van Sant, Gerry ed Elephant, forma un’ideale “Trilogia della morte”. A partire da questi lavori il regista prova nuove forme di sperimentazione artistica, allontanandosi dalla ripresa classica. Nei tre lungometraggi è forte la componente giovanile, unita indissolubilmente alla dipartita. I giovani di Van Sant sono spaventati, complessi ed allo sbaraglio. Sembra che alle spalle di questa produzione non ci sia un vero e proprio soggetto e che l’attore principale si muova nell’esistenza che gli resta senza un piano preciso. Naturalmente non è così. Ogni dissonanza è studiata e ben congeniata.

last-days

Quello che vediamo sullo schermo non è una biografia o un omaggio, ma uno spunto, un’occasione per mostrare il disagio e l’impotenza di una persona che somiglia in tutto e per tutto a Cobain, ma che potrebbe essere chiunque di noi. Presentato al Festival di Cannes, il film ha ricevuto elogi per la sua intensità e critiche per le scene troppo lunghe ed eccessivamente silenziose. Infatti, il tempo della storia è molto dilatato, per dare l’idea di realtà, e il piano sequenza la fa da padrone. Oggettivamente l’opera può annoiare. I ritmi sono lenti e la mancanza di una storia nel senso stretto del termine può essere un fallo dal punto di vista della godibilità. Se però si va oltre e ci si perde nelle immagini del regista, si è in grado di vedere il lungometraggio di un autore interessante e attento a tematiche borderline.

Questo atto conclusivo della sua “Trilogia della morte” è un quadro forte di una gioventù che si vede senza futuro. Una gioventù che non è quella bella, atletica e ricca dei classici film americani. Una gioventù ai margini. Per approcciarsi alla pellicola occorre conoscere i precedenti lavori di Van Sant ed essersene già lasciati sedurre.

Voto 7,5

Lisa Fornaciari

BUFFALO ’66

Regia: Vincent Gallo

Sceneggiatura: Vincent Gallo, Alison Bagnal

Anno: 1998

Durata: 110′

Produzione: USA

Fotografia: Lance Acord

Montaggio: Curtiss Clayton

Scenografia: Jeanne Develle, James Chinlund

Colonna sonora: Vincent Gallo, Yes, King Crimson

Interpreti: Vincent Gallo, Christina Ricci, Ben Gazzara, Anjelica Huston, Mickey Rourke, Rosanna Arquette

TRAMA

Billy Brown esce dal carcere dopo una condanna ingiusta di cinque anni, con l’idea fissa di vendicarsi di un giocatore dei Buffalo Bills, indiretto responsabile delle sue disgrazie.

RECENSIONE

Buffalo ’66 è il primo lungometraggio di Vincent Gallo. Era il 1998 e la poliedricità di questo autore iniziava a palesarsi davvero. Sicuramente Gallo è un uomo dalle mille risorse e lo aveva già dimostrato in precedenza come attore, sceneggiatore, musicista e artista. La sua, ormai lontana, prima impresa alla regia risulta un mix di umorismo nero ed elementi destabilizzanti che la rendono davvero degna di nota. La trama è semplice e complicata al tempo stesso. Infatti, descriverla senza l’ausilio delle immagini risulta macchinoso, perché la potenza visiva di questo film è molta e gioca un ruolo fondamentale.

Proviamoci ugualmente. Billy Brown (Vincent Gallo protagonista della sua stessa pellicola) esce di galera dopo aver scontato una pena di cinque anni che gli è stata affibbiata per regolare un debito di gioco. I genitori (Ben Gazzara e Anjelica Huston) sono stati tenuti all’oscuro e convinti che Billy lavori per il governo. Il suo obiettivo appena fuori di prigione è uccidere il giocatore corrotto che aveva sbagliato il tiro della partita su cui il nostro interprete aveva scommesso. Durante la prolungata ricerca di un bagno (una scena volutamente molto lunga) s’imbatte in una ragazza (Christina Ricci). La sequestra per presentarla ai suoi genitori come sua moglie e decide di chiamarla Wendy Balsam. La giovane resta con lui durante tutta la giornata, fino all’epilogo tanto sofferto.

Ricci-Gallo

Questo film è davvero interessante per molti motivi, primo tra tutti la caratterizzazione dei personaggi. Billy è introverso, pieno di problemi e decadente. La sua continua instabilità si palesa in scatti d’ira e momenti colmi di tenerezza. La sua giovane ed improbabile compagna, personificata magnificamente dalla particolare Christina Ricci, si porta dietro un’aura di tristezza e solitudine mai spiegata, ma lasciata intuire allo spettatore. I genitori sono esseri grotteschi ed impossibili. Altro fatto da non tralasciare: le riprese. Sporche, talvolta sciatte, volutamente scorrette e rabbiose. La macchina da presa segue i cambiamenti d’umore di Billy e si adatta al suo stato d’animo altalenante. La fotografia e la scenografia sono servili alla trama, la cupezza, lo squallore delle riprese fa da sfondo ad un amalgama di personaggi in lotta con loro stessi, con l’infinito. La storia d’amore bizzarra tra i due protagonisti è tenera e spietata. Proietta in un mondo diverso, timoroso, un universo borderline da cui non si può uscire, ma ci si può anche stare bene. La paura di Billy di essere toccato e la dolcezza di lei nel persuaderlo producono immagini soavi e destabilizzanti.

Una giornata sola, un mondo interiore che spinge per uscire e mostrarsi, interpretazioni magistrali e mettiamoci anche un cammeo di Mikey Rourke. Tutto questo in uno spettacolo indipendente che vale la pena vedere e che battezza Vincent Gallo come regista “da tenere d’occhio”. I suoi successivi lavori come autore confermano la sua predisposizione all’introspezione e al “dramma”. The Brown Bunny (2003) è presentato al 56° Festival di Cannes e accolto sfavorevolmente dalla critica. Narra di un amore e di un viaggio, di un ritorno alla realtà. Nonostante i pareri negativi (avuti soprattutto per la lunga scena di sesso orale praticata dalla reginetta del cinema indipendente Chloe Sevigny, allora compagna di Gallo) trovo che questo lungometraggio sia sentito e difficile. Altra sua fatica e fatica lo è davvero visto che Gallo solitamente cura quasi tutte le fasi dei film, è Promises Written in Water (2010), pellicola particolare che parte senza troppa attenzione alla sceneggiatura e alla pre-produzione. Ci rimanda un’opera in bianco e nero, senza fronzoli. Racconta la vicenda di una ragazza malata di cancro e della sua relazione con un fotografo. Qui il regista mette alla prova lo spettatore, regalando momenti morti, riprese sgangherate e scene caratteristiche. Ma d’altronde Gallo è un personaggio così, egocentrico, profondo e talvolta megalomane, visto l’andazzo credo e spero che assisteremo ad altre sue prodezze cinematografiche.

Voto: 8

Lisa Fornaciari