Regia: Gus Van Sant
Sceneggiatura:Gus Van Sant
Anno: 2005
Durata: 85’
Nazione: USA
Fotografia: Harris Savides
Montaggio: Gus Van Sant
Scenografia: Tim Grimes
Costumi: Michelle Matland
Colonna sonora: Thurston Moore, Michael Pitt
Interpreti: Michael Pitt, Lukas Haas, Asia Argento, Scott Green, Nicole Vicius
TRAMA
Il film narra di un personaggio molto simile a Kurt Cobain, leader del famoso gruppo grunge dei Nirvana. Le immagini s’incentrano sul disagio del protagonista, mostrandolo logorarsi ed avanzare nella vita senza spirito e vitalità.
RECENSIONE
Last Days, con le due opere precedenti di Van Sant, Gerry ed Elephant, forma un’ideale “Trilogia della morte”. A partire da questi lavori il regista prova nuove forme di sperimentazione artistica, allontanandosi dalla ripresa classica. Nei tre lungometraggi è forte la componente giovanile, unita indissolubilmente alla dipartita. I giovani di Van Sant sono spaventati, complessi ed allo sbaraglio. Sembra che alle spalle di questa produzione non ci sia un vero e proprio soggetto e che l’attore principale si muova nell’esistenza che gli resta senza un piano preciso. Naturalmente non è così. Ogni dissonanza è studiata e ben congeniata.
Quello che vediamo sullo schermo non è una biografia o un omaggio, ma uno spunto, un’occasione per mostrare il disagio e l’impotenza di una persona che somiglia in tutto e per tutto a Cobain, ma che potrebbe essere chiunque di noi. Presentato al Festival di Cannes, il film ha ricevuto elogi per la sua intensità e critiche per le scene troppo lunghe ed eccessivamente silenziose. Infatti, il tempo della storia è molto dilatato, per dare l’idea di realtà, e il piano sequenza la fa da padrone. Oggettivamente l’opera può annoiare. I ritmi sono lenti e la mancanza di una storia nel senso stretto del termine può essere un fallo dal punto di vista della godibilità. Se però si va oltre e ci si perde nelle immagini del regista, si è in grado di vedere il lungometraggio di un autore interessante e attento a tematiche borderline.
Questo atto conclusivo della sua “Trilogia della morte” è un quadro forte di una gioventù che si vede senza futuro. Una gioventù che non è quella bella, atletica e ricca dei classici film americani. Una gioventù ai margini. Per approcciarsi alla pellicola occorre conoscere i precedenti lavori di Van Sant ed essersene già lasciati sedurre.
Voto 7,5
Lisa Fornaciari