AMERICAN SNIPER

Regia: Clint Eastwood

Sceneggiatura: Jason Hall

Anno: 2014

Durata: 132’

Produzione: USA

Fotografia: Tom Stern

Montaggio: Joel Cox, Gary Roach

Scenografia: Charisse Cardenas, James Murakami

Interpreti: Bradley Cooper, Sienna Miller, Kyle Gallner, Max Charles

TRAMA

Chris Kyle è un cecchino soprannominato “Leggenda” e sta combattendo due battaglie: tentare di essere un buon soldato, ma anche un buon marito e padre, mentre è a migliaia di chilometri da casa.

RECENSIONE

Torri gemelle, Iraq, sicurezza. Dio, patria e famiglia. Non è facile fare un film sul più grande eroe e martire dell’ultima e ancora freschissima guerra americana senza scivolare in una visione manichea e propagandistica. Non è facile raccontare la storia di Chris Kyle, ex cowboy, poi navy seals, poi reduce di guerra  e padre di famiglia senza trionfalismi o condanne. Ma Clint Esatwood ispirandosi ai grandi western prima e il filone cinematografico sui  giustizieri poi, di cui Callaghan fu il più luminoso protagonista, riesce nell’impresa.

Ma Chris Kyle è un eroe o un killer violento? La risposta è nelle parole dello stesso protagonista che l’unica cosa di cui si pente,  è di non essere riuscito a salvare più vite di quello che ha messo in salvo. Così Eastwood sospende il giudizio e racconta i 1000 giorni di  battaglie le 160 vittime certificate ma soprattutto la lotta enorme e durissima con se stesso una volta congedato, a rientrare nella vita normale. Superare l’insonnia, dimenticare le minacce e il senso di accerchiamento,  svestire l’uniforme, slacciare gli anfibi, calzare di nuovo i panni civili e ritrovare nella quotidianità stimoli ed emozioni.

Bradley Cooper, ingrassato nel film di oltre 10 chili, interpreta alla perfezione il ruolo e le battaglie fisiche ed interne del protagonista , guidato fin dall’inizio del film dall’avvertimento profetico del padre: si può essere lupi, pecore , ma la cosa più difficile è essere pastori da gregge. Una metafora semplice sul significato dell’essere padre al fronte o in patria, in famiglia o con  una generazione di soldati inginocchiati dai disturbi post traumatici da stress, e troppo spesso sconfitti dalla stessa quotidianità. Una metafora efficace  che è la linea guida e la risposta agli interrogativi del protagonista e del pubblico. Il cinema di Clint Esatwood è infatti semplice ma intenso, non ha la suspance né l’estetica della Bigelow in Hurt Locker, ma ha il grande merito di essere diretto e vero, senza fronzoli né postulati, disegnando in modo chiaro gli strumenti con cui affrontare  la visione  di un mondo duro e spietato: responsabilità, volontà e dovere . E’ questo il giustiziere 2.0.

Voto: 7

Luca Del Vescovo


 

Clint Eastwood ci regala anche questa volta un crudo affresco della storia bellica americana. Con American Sniper il regista racconta, attraverso la sua poetica dura e scarna, la vita di Chris Kyle, il cecchino più infallibile mai esistito tra le fila dell’esercito statunitense. La macchina da presa registra le gesta di Kyle in modo oggettivo, senza sentenziare o giudicare  coloro che si muovono sulla scena. Gli eventi vengono sbattuti in faccia allo spettatore in tutta la loro feroce verità. Noi che fissiamo lo schermo, un secondo prima ci troviamo in sala e quello dopo siamo lì, nel vivo dell’azione, che respiriamo l’odore della sabbia irachena, il sudore dei marines al fronte, l’aridità dell’ambientazione, lo spirito di cameratismo di quest’ultimi ed il continuo senso di pericolo che si percepisce ad ogni angolo. Molto spesso, l’occhio del protagonista è il nostro occhio, miriamo e spariamo assieme a lui, sembrando a tratti di stare giocando con lo sparatutto in prima persona di ultima uscita. Ma, a differenza della spersonalizzazione del soggetto che molla il colpo entro un gameplay, nel film le ansie e le preoccupazioni di Chris invadono le nostre menti, non possiamo sbagliare il bersaglio, se no game over, le vite ha disposizione sono solo una.

A volte la guerra si interseca in tempo reale con la tranquilla vita quotidiana in territori americano, riversando in esso tutte le sue paure, mettendoci d’innanzi all’impotenza che un comune individuo ha nei confronti di tali vicende. Una quotidianità che si sente fortemente anche fra i commilitoni, che pur trovandosi in un luogo dove la morte può bussare alla propria porta in qualsiasi momento, riescono ad avere anche qui la loro routine giornaliera, come una coperta di Linus che li protegge dalla sofferenza che devono sopportare. Però, tale espediente, porta alla desensibilizzazione ed alla perdita di qualsiasi etica sulla vita umana; o uccidi o vieni ucciso, questo è un po’ il mantra dei personaggi che osserviamo. Sino a quando non si ritorna a casa, e nella pace domestica se ci si sofferma a pensare per un secondo, affiorano le paranoie ed un senso di vuoto, che accompagna di continuo chi è tornato dal fronte. L’adrenalina in corpo è scemata, e lo spaesamento si amalgama con i ricordi degli orrori delle battaglie affrontate. Ma ormai, non si può più fare a meno di ritornare ad imbracciare il fucile, l’idea di dover affrontare i propri demoni interiori è  peggio che di risommergersi nel clima sanguinario da cui si sono presi una pausa, dove non si ha il tempo di riflettere sulle azioni che si compiono, in una continua trans agonistica.

Chris Kyle lotta per il proprio paese, vuole proteggere i suoi cari, ed è così, ma in lui pare che alberghino due personalità che sono agli antipodi: l’uomo con una morale, che non va fiero di quello che fa, riconoscendo il suo record come ignobile, sperando di non dover mai premere il grilletto, perché spezzare una vita, non solo ha ripercussioni tragiche su chi viene mandato all’altro mondo, ma anche su tutti coloro che hanno dei rapporti affettivi con quella persona; ed il SEAL, un killer legalizzato che vuole mettere alla prova i suoi nervi e le sue abilità, una macchina disumanizzata dove il suo unico scopo è quello di fare centro, ingaggiando una sfida con se stesso. Bradley Cooper, barbuto e temprato nel fisico per il ruolo, rende in modo impeccabile la concentrazione e l’ansia che traspare nel colpire il bersaglio e l’alienazione che possono portare professioni di questo tipo.

Voto: 8.5

Gabriele Manca


 

Luca Del Vescovo: 7

Gabriele Manca: 8,5

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