IN CONCORSO
A Pigeon Sat on a Branch Reflecting on Existence (En duva satt på en gren och funderade på tillvaron) di Roy Andersson (Svezia / Germania / Norvegia / Francia). Voto: 8
Chiusura della trilogia dedicata da Andersson al cosa significa “essere un essere umano” (come dichiarato nei titoli di testa), questo singolare insieme di tableaux vivants che spesso indugia nella metanarrazione si aggiudica un Leone d’Oro coraggioso nel privilegiare un cinema non di narrazione. E’ un film pieno di invenzioni mirabolanti che ritraggono una serie di personaggi mortiferi e catatonici condannati alla reiterazione infinita di azioni assurde e irresistibilmente comiche tra le quali si sbriciola ogni possibile senso dell’esistenza.
The Cut di Fatih Akın (Germania / Francia / Italia / Russia / Canada / Polonia / Turchia). Voto: 3
Terzo capitolo di una trilogia chiamata “L’amore, la morte e il diavolo”, che segue a “La sposa turca” (che dovrebbe trattare l’amore) e a “Ai confini del paradiso” (la morte). Questa volta tocca al diavolo, cioè al male all’interno della Storia, con un’epopea riguardante il sinistro capitolo storico del genocidio degli armeni. Peccato che il risultato sia questo esangue polpettone scontato quanto una fiction televisiva, in cui diventa praticamente impossibile interessarsi al destino di un padre alla ricerca delle figlie in capo al mondo, manco fosse una vicenda difficile da rendere interessante.
Tales (Ghesse-ha) di Rakhshan Bani-Etemad (Iran). Voto: 6
L’intento della regista iraniana è quello di raccontare le contraddizioni del proprio paese attraverso una serie di episodi in cui la narrazione è trascinata dai racconti orali dei personaggi, le cui storie, rimangono fuori campo, attraverso le diverse reazioni di chi ascolta. L’unico episodio che però riesce ad andare veramente a segno è l’ultimo, ambientato in un taxi, e consistente in un delicato dialogo tra il giovane tassista che ha abbandonato l’università e una ragazza sieropositiva, in cui il non detto e i sentimenti trattenuti muovono magistralmente i fili della narrazione. Purtroppo tutto il resto del film è all’insegna del già visto e si lascia facilmente dimenticare. Fosse stato solo un cortometraggio consistente nell’ ultimo episodio, avrebbe pienamente giustificato il premio per la miglior sceneggiatura che il film ha ricevuto.
Le rançon de la glorie di Xavier Beauvois (Francia/Belgio/Svizzera). Voto: 5½
Un intento anche troppo ambizioso quello del regista di “Uomini di Dio”: quello di raccontare la storia del rapimento del cadavere di Chaplin con i toni dei suoi film, sottolineati anche dalla splendida colonna sonora (sprecata) di Michel Legrand, che come nei film di Charlot avrebbe il ruolo di sostituire le parole nel manifestare i sentimenti dei personaggi. Questo confronto volutamente ricercato, però, finisce per sottolineare la fiacchezza del film, che non riesce nell’ imitazione troppo ambiziosa che si impone. La sottolineatura di come i due protagonisti siano più vicini allo spirito del Vagabondo rispetto al mondo che lo circondava nella vita reale, non è priva di interesse, ma troppo fragile per reggere un intero film.
Le dernier coup de marteau di Alix Delaporte (Francia). Voto: 6
Un romanzo di formazione melodrammatico all’insegna del già visto e del già sentito.
Pasolini di Abel Ferrara (Francia / Belgio / Italia). Voto: 4
Nel voler ricostruire gli ultimi giorni di Pasolini, Ferrara non è interessato né a comprendere in profondità quegli anni, né a delineare la complessità del personaggio. Il tutto si limita dunque a un elenco di aneddoti che un giro su wikipedia o su youtube basterebbe a rendere del tutto superfluo.
Tre cuori (3 coeurs) di Benoît Jacquot (Francia). Voto: 4
Cinema tedioso, esangue, privo di vita. Colpo di sonno assicurato.
Angelo Grossi
PRIMO INTERVALLO